Stranger Eyes, il quarto lungometraggio scritto e diretto da Siew Hua Yeo, arriva nelle sale italiane dopo la candidatura al Leone d’oro. La ricerca di una bambina scomparsa da parte dei giovani genitori, piuttosto che articolare un’intreccio tipicamente thriller, funge da pretesto per discutere dell’annosa questione filosofica sul rapporto fra osservatore e osservato.
Anzitutto c’è l’isola di Singapore, protagonista implicita della storia, che con le sue circa due telecamere per ogni dieci abitanti è tra i luoghi più sorvegliati al mondo, una città in cui si è costantemente consapevoli di essere osservabili.
Si aggiunge poi il misterioso stalker della coppia, Lao Wu - intepretato magistralmente da Kang-sheng Lee, attore feticcio di Tsai Mig-liang – addetto alla sorveglianza di un supermercato e loro dirimpettaio. I filmati che fa della coppia ne svelano le ipocrisie: la promiscuità del padre, Junyang, e la morbosa ricerca d’attenzioni della madre, Peiying, oltre all’altalenante affetto di entrambi verso la figlia scomparsa. In questo contesto di ipersorveglianza, e il conseguente abbattimento della sfera privata, anche Junyang si pone pochi scrupoli nel pedinare a sua volta Lao Wu, finendo per somigliargli sempre più.
Tolte le indagini concettuali sull’influenza dell’osservato sull’osservatore, in termini di proiezione delle aspettative e imitazione, e il paradosso della sicurezza, per cui una persona conscia di essere ripresa diverrà sempre un criminale, Stranger Eyes non ha molto da offrire. Il punto di vista della macchina da presa tende sempre all’oggettività, all’asettica distanza ideale per studiare il soggetto, una scelta certamente coerente con la storia ma che tende ad annoiare dopo poco, specie perché i personaggi non sono abbastanza complessi da rendere interessante una loro esplorazione da più angolazioni.
Si soffre il distacco fra racconto e sottotesto, col secondo che sovrasta il primo, quanto l’assenza di una presa di posizione dell’autore sul tema proposto. L’imparzialità su un tema già di per sé poco coinvolgente fa arenare definitivamente il film nell’intellettualismo fine a sé stesso, un’opera più interessante da discutere che piacevole da vedere. Le idee ci sono e la storia pure, con qualche aggiustamento sarebbe potuto uscirne un piccolo gioiello. Un peccato, ma che lascia ben sperare per un futuro in cui Yeo riuscirà a dosare meglio gli ingedienti.