Un cielo pieno di stelle. E una più luminosa, ma difficilmente distinguibile in mezzo a tutte le altre, che a un tratto si spegne. Tornati sul pianeta Terra, siamo con Sam e Tusker, in viaggio in camper alla ricerca dei luoghi che hanno visto gli inizi del loro amore, tanti anni prima. Ma non è solo una vacanza romanticamente sentimentale, è anche la ricerca di una sorta di senso di chiusura, prima che la demenza che ha cominciato a intaccare la mente di Tusker proceda oltre i brevi momenti di assenza o le lievi aprassie che lo vedono in difficoltà nel mettersi un maglione.
Supernova di Harry Macqueen è il ritratto sofferto e coinvolgente di un amore nel momento del crepuscolo, ma anche il racconto di una coppia così spettacolarmente affiatata che tutti i conflitti risultano strettamente frizionali e contingenti la malattia, senza che quest'ultima sondi nel profondo delle personalità dei due. Siamo ben lontani, insomma, da Amour di Michael Haneke, dove lo stesso tema, l'effetto di una malattia invalidante e progressiva su una relazione consolidata e felice, raggiungeva ben altri vertici di complessità psicologica, fra amore, altruismo, rispetto, ma anche risentimento, vergogna e paura.
Macqueen sa indubbiamente scrivere, e ha fra i suoi punti di forza quella delicatezza di tratteggio delle situazioni che già gli conoscevamo dal fortunato esordio Hinterland (2014). Al tempo stesso è evidente come la sua agenda sia focalizzata su due intenzioni principali. La prima è la normalizzazione della relazione omosessuale, e in tal senso è proprio la sua non-tematizzazione all'interno del film a funzionare da potente dichiarazione di intenti, in una società come la nostra nella quale è ancora molto difficile vedere ritratta nel mainstream la serena quotidianità di due persone dello stesso sesso innamorate.
La seconda intenzione è quella evidente di argomentare a favore del diritto all'autodeterminazione, per cui il personaggio di Tusker ha tutto il diritto di non sentirsi raccontare storie sulla propria malattia, se ciò non lo fa stare meglio e non è stato da lui auspicato, e di decidere cosa fare di sé nel suo futuro, finché ha la piena capacità di intendere e volere in merito. Tematiche importanti, argomentate in maniera ineccepibile, tanto sia da soddisfare lo spettatore che già a priori le condivida, che da perorare la causa presso lo spettatore da esse distante. Peccato che questo educato intento pedagogico di fondo finisca per produrre un'esperienza visiva così priva di screziature, così poco problematizzante da rischiare di farsi dimenticare in fretta.
Pare strano non dire solamente bene di un film che porta sullo schermo, con finezza di scrittura e esecuzione, tematiche che molti definirebbero sacrosante, eppure Supernova, pur godibile e a tratti intenso, ne viene fuori anche in parte vittima e prigioniero delle sue buone intenzioni. Molto meno dimenticabili invece le interpretazioni di Colin Firth e Stanley Tucci, due attori realmente in grado di nobilitare il materiale di partenza: mai retorici, mai ricattatori, mai con un'intenzione programmatica leggibile sul filo del volto, riempiono lo schermo di calore e intelligenza, di sentimenti soffusi e intimi, di fili invisibili di ardore e rispetto che legano i due amanti.