Suzume è una diciassettenne liceale che vive nella tranquilla cittadina di Miyazaki (toponimo fittizio e non casuale). Un giorno incontra casualmente Sota, un tojishi (“maestro chiudiporte”) il cui compito è quello di sigillare dei varchi dimensionali sparsi per il Giappone: se aperti, questi permettono la fuoriuscita di “vermi” che si abbattono sul suolo causando terremoti distruttivi.

Dopo che Sota si è trasformato in una sedia per bambini a causa del maleficio di uno spirito a forma di gatto incarnato in una kaname-ishi (“pietra d’angolo” fondamentale per la chiusura delle porte), Suzume intraprende un viaggio di prefettura in prefettura, al fine di scongiurare calamità sempre più devastanti.

Balza subito allo sguardo e all’orecchio la parola chiave che è il filo conduttore di Suzume, ultima fatica di Makoto Shinkai e primo anime ad essere selezionato in concorso alla Berlinale 2023: terremoto. Un lutto non ancora del tutto superato quello del Grande terremoto del Giappone orientale del 2011 e ancora in corso di elaborazione dopo più di dieci anni.

Se in La casa degli smarriti sul promontorio (Shinya Kawatsura, 2021) il sisma è solo il punto di partenza da cui la protagonista Yui cerca un proprio percorso di guarigione individuale, in Suzume il sottotesto traumatico viene mantenuto vivo e alimentato da un viaggio disperato contro il tempo, connotato da una matrice spirituale e connesso alla collettività: il destino di un’intera nazione dipende dalle scelte e dalla volontà unica di Suzume.

La ferita ancora impressa nella memoria è dimostrata nelle ripetute notifiche sui telefoni degli abitanti ogni volta che “il verme” sta per cadere sulla superficie, nelle visioni felici di “com’erano prima di quel giorno” gli edifici abbandonati e mai risanati, o nella sedia/Sota che di gambe ne ha tre (la quarta, come la madre di Suzume, è stata spazzata via dal maremoto). Eppure sono tutte dimostrazioni di grande risolutezza nell’andare avanti e nell’affrontare un viaggio di rinascita.

Ragiona sempre per iper-dettagli Shinkai, “apostolo” di Hayao Miyazaki già battezzato con Your Name e Weathering with You (trainati entrambi, sempre non a caso, da eventi catastrofici e dal sovrannaturale) e creatore di storie inedite permeate di riferimenti mai esaustivi a se stesso, prima di tutto, e al cinema del Maestro e dello Studio Ghibli. Certamente, la fisionomia e il nome del gatto Daijin rimandano a Jiji, il gatto nero di Kiki - Consegne a domicilio.

Molte scene d’azione e di conflitto, nonché altrettanti fotogrammi, sono sovrapponibili a quelle de Il castello errante di Howl. L’espediente narrativo risolutivo, rimanda, infine, a Laputa - Castello nel cielo. Quello che rimane di Suzume è un on the road all’apparenza lineare, ma continuamente sincopato da improvvisi salti nell’aldilà dei ricordi, con un viaggio di ritorno già scritto in una ferita traumatica.

È così che l’allievo continua a imparare dal maestro.