In una Seul livida e corrotta, affollata più di automobili che di persone, i poliziotti sonnecchiano, mentre un povero esasperato tira escrementi in faccia al sindaco e alcune prostitute spariscono misteriosamente. Eom Joong-ho è un ex poliziotto che vive sfruttando un piccolo giro di prostituzione. Quando alcune ragazze che lavorano per lui cominciano a sparire, decide di andare a fondo alla questione, mettendosi alla ricerca di chi gliele sta rubando. Rincorrendo un ladro - che poi si rivelerà un serial killer – si trova all’improvviso a farsi carico di Eun-ji, una bambina di sette anni, figlia dell’ultima ragazza sparita.

Sulla scia dell’apprezzamento di pubblico e critica che la vivace filmografia sudcoreana riscuote da diversi anni, facendo parlare di una sorta di nouvelle vague d’Oriente, la piattaforma Prime Video ha recentemente proposto la programmazione dell’intera opera del regista Na Hong-jin: The Chaser (2008), The Yellow Sea (2010) e Goksung (2016). Come aveva già fatto Bong Joon-ho nel 2003 in Memorie di un Assassino (Memories of Murder), anche Na Hong-jin in The Chaser prende spunto da una storia vera per dar vita al suo primo lungometraggio: un riuscitissimo debutto, premiato poi come miglior regia sia ai Grand Bell Awards che ai Korean Film Awards e accolto con favore al Festival di Cannes 2008.

Ma la storia vera - il serial killer che nella Seul dei primi anni Duemila ha ucciso oltre venti persone - rimane in realtà solo un pretesto per esplorare quello che maggiormente interessa al regista: la caduta di Eom Joong-ho nell’abisso di un inseguimento che diventa via via più ossessivo, una spietata discesa agli inferi che lo toglierà dalla sua apatia di eterno perdente per metterlo faccia a faccia con la menzogna, il dolore e la morte ma anche davanti a una rinata speranza.

Na Hong-jin, che di The Chaser è regista ma anche co-sceneggiatore, crea la vertigine della caduta e della rinascita del suo protagonista (non a caso i vicoli pianeggianti di Seul son ricostruiti in salita) con grande sapienza narrativa. Nonostante il whodunit venga svelato fin dall’inizio, il regista riesce a mantenere alta la tensione e l’attenzione in questo thriller poliziesco dalle sfumature nere. E ci riesce attraverso una serie di riusciti colpi di scena e a un buon ritmo dell’azione ma anche grazie a una costante attenzione all’equilibrio fra sceneggiatura e recitazione, fotografia e musica.

Attorno al protagonista Eom Joong-ho, ruotano tutti gli altri personaggi del film: un serial killer, una prostituta rapita e sua figlia settenne, oltre a un variegato sottobosco poliziesco. Intrecciando i ritratti e le vicende di questi, il regista riesce a dar vita ad un affresco di grande efficacia e spessore, corale e individuale insieme, con una caratterizzazione dei personaggi che arricchisce e dà profondità al racconto. La prostituta scomparsa, Mi-jin, è una madre single, abbandonata dal marito e costretta a vendersi per mantenere la figlia ancora piccola, ma animata da una grande voglia di riscatto e di costruirsi una nuova vita. La bambina, Eun-ji, è una presenza silenziosa ma eloquente, che percepisce con lucidità il mondo degli adulti. Il serial killer, Jae Yeong-min, reo confesso anche davanti alla polizia ma scagionato per mancanza di prove, è un uomo profondamente disturbato, contraddistinto da una ferocia che nasce da ferite mai lenite e che perpetua la propria condizione di sofferenza inchiodando simbolicamente le vittime al suo stesso dolore. I poliziotti, indolenti quando non corrotti, si dividono fra chi cerca di aiutare le indagini nel limite del proprio lavoro e chi non nasconde di ostacolarle, in un confusionario e inconcludente andirivieni fra opportunità personali e obbedienza ai superiori.

Tutti questi personaggi si muovono dentro una città grigia e desolata - velata di notte dall’ombra giallognola dei lampioni e svelata di giorno da una luce radente e accecante - spesso persi in ricerche e inseguimenti lungo le strade di Seul o rinchiusi in spazi sporchi e angusti. E se nei personaggi e nelle atmosfere, ma perfino in certe azioni e certi oggetti, ritroviamo alcuni elementi ricorrenti della filmografia sudcoreana (il serial killer spietato e la polizia corrotta del precedente Memorie di un assassino, ma anche gli inseguimenti urbani per i vicoli e mostruosi acquari che ritornano ad esempio nei successivi Forgotten di Hang-jun Zhang e Mademoiselle di Park Chan-wook) Na Hong -jin riesce comunque ad imprimere una sua originalità alla materia narrata, attraverso semplici sottolineature e giochi formali o con l’uso simbolico o allegorico di certe soluzioni.

Pensiamo alle numerosissime inquadrature attraverso finestre (di case, negozi, ospedali) e finestrini (delle tante macchine), che incorniciano naturalmente alcuni fotogrammi, fissandoli e sottolineandone importanza e bellezza compositiva. Oppure al mazzo di chiavi di casa, smarrito dall’assassino e ritrovato fin da subito da Eom Joong-ho, che non apre nessuna porta fino a quando le tessere del misterioso puzzle non si sono tutte ricomposte. O ancora alle scene che nei climax di dolore privano i protagonisti della propria voce (l’accoltellamento della donna rapita, l’ex polizotto trattenuto dalla folla davanti al negozio), consegnandoceli muti e congelati in una sorta di urlo munchiano. O pensiamo infine alle soluzioni speculari che ci fanno riflettere sul potere del caso: la liberazione del serial killer e l’arresto dell’ex poliziotto, il bambino ferito e la bambina salvata, la prostituta risparmiata e quella uccisa, la testa della prostituta e quella dell’ex polizotto, riverse sul pavimento e collegate tra loro da un muto dialogo fra vita e morte.

Ma fra le tante notevoli sequenze del film, una che difficilmente dimenticheremo è quella della piccola Eun-ji, chiusa in macchina mentre al di fuori, sotto la pioggia, l’ex agente e una prostituta parlano delle vittime del serial killer. Gli adulti credono che la bambina sia protetta e isolata dall’abitacolo dell’automobile ma al contrario lei riesce ad udire le voci esterne e capisce quello che nessuno ha il coraggio di dirle. Dopo la terribile rivelazione - mancata e compiuta al tempo stesso - noi spettatori sentiamo solo il rumore della pioggia che scroscia al di fuori dell’auto, ma vediamo l’urlo di dolore senza voce - e per questo ancor più insostenibile - di una bambina nell’attimo in cui capisce di aver perso tutto.