Tendenzialmente i film porno non si aprono con un suicido. Forte però dell’enorme successo di Gola profonda, Gerard Damiano non si pone freni e firma con The Devil in Miss Jones un’altra perla del cinema (non solo) hard. Stufa della sua vita disciplinata e fredda, la casta Justine Jones si taglia le vene in vasca e viene spedita all’Inferno. Ad attenderla trova un diavolo compassionevole, che accoglie la sua richiesta di poter tornare sulla Terra giusto il tempo necessario a sperimentare i piaceri sessuali che lei stessa in vita si era negata.
In opposizione allo spensierato incipit di Gola profonda, i primi venti minuti di Miss Jones sono intrisi di dolore e rimpianto, mostrano la tragedia di una donna punita perfino in quell’aldilà che avrebbe dovuto premiare la sua condotta. La condanna è inevitabile, tanto vale cogliere l’ultima occasione per sperimentare la lussuria, e così gli emissari del diavolo la iniziano a diversi piaceri della carne.
Ben poca cosa per gli standard del porno estremo odierno, ma in quegli anni anche solo la ripresa di una doppia penetrazione aveva un impatto maggiore. Il secondo atto è interamente occupato da scene hard impersonali, da cui non emerge altro carattere che Justine, né viene valorizzato altro piacere che il suo. Perfino l’influente critico Roger Ebert, sempre puntiglioso nel criticare la pornografia softcore gratuita nel cinema mainstream, valutò positivamente la messinscena di Damiano e la recitazione di Georgina Spelvin, proprio perché il focus della scena non devia mai dal desiderio della protagonista.
Affidando il suo corpo ad altri scopre l’egoistico piacere del lasciarsi vivere, si appropria della sua soggettività oggettificandosi, esige il diritto a un’edonistica passività. La strapitosa colonna sonora di Alden Shuman, tra le più belle di sempre, conferisce poi supporto emotivo a sequenze altrimenti piuttosto meccaniche, donando a ciascuna scena una connotazione tenera, dolorosa, timida o trasgressiva.
Nel finale la protagonista subisce l’infernale contrappunto e viene condannata a masturbarsi per l’eternità senza godere, in compagnia di un uomo che la ignora totalmente: un incubo ma anche la fedele replica della sua vita passata. Come il nostrano Joe D’amato, a Damiano piace imbastardire l’hardcore con altri generi (girerà infatti film stravaganti come Let My Puppets Come e Alpha Blue) e in Miss Jones si cimenta con l’horror, anche tramite esplicite citazioni.
La più palese è lo stralunato uomo ossessionato dai moscerini che compare nel finale, interpretato dal regista stesso e che rimanda al Renfield di Dracula, o la sequenza in cui Justine simula una fellatio infilandosi in bocca la testa di un serpente, controparte esplicita di una scena de Il mostro di Londra di Terence Fisher. In Miss Jones convergono infine la rinnovata attenzione verso l’occulto degli anni ‘70 e la critica sessuologica del women’s film dei ‘40.
L’opera di Damiano si pone in continuità con la riscoperta della spiritualità nella società statunitense, di cui gli hippie e gli Hare Krishna rappresentano l’immagine più positiva e il cui ideale rovescio della medaglia potrebbe essere la Famiglia Manson. In ambito artistico vale poi la pena ricordare la riedizione degli scritti esoterici di Aleister Crowley, l’esordio musicale dei Black Sabbath e dei Coven, nel cinema horror Rosemary’s Baby e L’esorcista.
L’occulto fa in Miss Jones da contraltare positivo alla repressione sessuale, più o meno esplicita, che accumuna gran parte dei protagonisti femminili del cinema statunitense del passato. Il titolo stesso del film (The Devil in Miss Jones) fa il verso a The Devil and Miss Jones (in Italia Il diavolo si converte, 1941), sfottendo una rappresentazione antiquata di donna fiera della sua frigidità, più devota al dovere e alla prole che a sé stessa.
Anche la nascente Feminist Film Theory rileggerà quel cinema in chiave castrante e Damiano rigira il coltello nella piaga, accostandolo al nome Justine, l’eroina sadiana perseguitata dalla sventura per colpa della sua virtù ostinata.