Dopo più di venti prodotti di genere realizzati in cinque anni su commissione, nel 1937 Powell riuscì a realizzare un progetto più personale che inseguiva da anni. The Edge of the World è basato sulla vera storia dell’evacuazione di 36 persone dall’isola scozzese di St. Kilda nell’arcipelago delle Ebridi, ma, nelle mani di Powell, che ne curò anche la sceneggiatura, la Storia viene trasfigurata in un mito della modernità e dei cambiamenti incombenti su una società ancora primitiva.

La sfida tra i due amici inseparabili, Andrew Gray e Robbie Manson, a scalare una pericolosa scogliera dell’isola per decidere la migrazione verso la terraferma o di continuare la vita comunitaria e isolata che conducono da secoli, avrà profonde conseguenze sui legami affettivi e sociali non solo dei due clan ma di tutti gli isolani.

Powell non fu autorizzato a girare sull’isola di St. Kilda e dovette realizzare le riprese su Foula nelle Shetland, che nel film, tuttavia, si chiama Hirta proprio come l’isola principale dell’arcipelago di St. Kilda, anche se la carta geografica mostrata nelle scene iniziali è di Foula. Dopo una lavorazione faticosa che si protrasse per diversi mesi a causa delle avverse condizioni meteorologiche, il film fu apprezzato dai recensori coevi soprattutto per le riprese panoramiche dell’isola di Foula e per il suo portato documentaristico.

Un giudizio sorprendente se si considera la confusione geografica appena esposta. Nella recensione del luglio 1937, il Monthly Film Bullettin esaltò gli “impressionanti scenari . . . fotografati in modo ammirevole”, compromessi, tuttavia, da un “intreccio debole e melodrammatico” e dalla difficoltà degli attori professionisti a rendere gli avvenimenti credibili, al contrario dei non professionisti selezionati tra gli stessi abitanti.

Certamente le immagini della natura selvaggia e inospitale di Foula costituiscono un elemento di interesse notevole ma concludere che l’isola “è l’eroe e l’eroina del film” grazie ai suoi ambienti naturali significa rinunciare a cogliere la complessità narrativa di The Edge of the World, incarnata anche nello stesso paesaggio.

Il piacere che il film trae dall’idea di raccontare una storia di migrazione e di dissoluzione dei legami famigliari attraverso il modello classico del nostos è già annunciato dal titolo, tratto dalle Georgiche di Virgilio, e il prologo in cui due turisti, uno dei quali significativamente interpretato dallo stesso Powell, arrivano sull’isola con Andrew Gray, protagonista e narratore della storia a cui stiamo per assistere in un flashback sollecitato dalle richieste della coppia.

In seguito all’esito drammatico della sfida, lo stesso Andrew, contrario alla migrazione, si vedrà costretto a ricorrervi per superare il senso di colpa e la freddezza della famiglia di Robbie nei suoi confronti che mettono in crisi anche il suo fidanzamento con Ruth, la sorella di Robbie. Contrariamente alle tipiche storie della modernità, tuttavia, la progressione dall’isola alla terraferma, dai legami famigliari alle interazioni volontarie, da Gemeinschaft a Gesellschaft per citare due categorie sociologiche che godettero di ampia diffusione nei primi decenni del Novecento, non è lineare e teleologica. Al contrario, alle partenze di persone o di messaggi affidati al mare succedono ritorni, favoriti o scoraggiati dagli elementi naturali.

Questo non solo nella diegesi cinematografica e nelle sue forme narrative come il flashback. Come il suo personaggio all’inizio del film, lo stesso regista tornerà, narrativamente, un anno dopo su Foula con il suo libro di memorie 200,000 Feet on Foula e, fisicamente, 40 anni dopo, insieme con i membri del cast e della troupe al tempo ancora in vita, per il documentario che non poteva avere altro titolo che Return to the Edge of the World (1978).