Ritirato dalla circolazione poco dopo l’uscita del 1971 per il sovversivismo del suo linguaggio, il capolavoro di Dennis Hopper The Last Movie torna a splendere sugli schermi per la prima volta dopo il restauro in 4K. Film-monumento, opera meta-cinematografica e chiaro esempio di una contro-cultura filmica erede di Easy Rider, The Last Movie è ciò che Hopper avrebbe voluto che fosse: “a new-new-New Testament in film”. Le parole di Henry Hopper, figlio del regista, così riassumono intenti ed esiti di un’opera che travalica i propri confini. Sebbene la definizione non sia da intendersi in senso strettamente religioso, è innegabile che il lascito hopperiano affronti, tra i numerosi temi, anche il rapporto dell’uomo moderno con la fede.

Il prete del villaggio dove si stabilisce la troupe che sta girando il film-nel-film è costretto a fare i conti con la concorrenza spirituale alla sua chiesa rappresentata dalla settima arte: il popolo non va più a messa e crede maggiormente alla morale della messa in scena rispetto a quella cattolica. Il cinema porta la violenza nella società (“to shoot” significa sia “girare” sia “sparare”, e il regista interpretato da Samuel Fuller ha sempre una pistola in mano) ed è quindi visto come peccato (“The movies” è la risposta che il protagonista Kansas offre al prete in una sorta di confessione quando costui gli chiede quali peccati abbia commesso). Tuttavia, alla fine sarà proprio il prete a “convertirsi”.

Non soltanto gli abitanti del villaggio peruviano devono scegliere a cosa credere: lo spettatore stesso, posto di fronte a una narrazione non lineare e all’esibizione di meccanismi marcatamente cinematografici come jump-cuts e intertitoli recanti la scritta “Missing Scene”, non può abbandonarsi completamente al racconto perché sollecitato continuamente a prendere coscienza del film nella sua materialità da artifici che rendono impossibile la sospensione dell’incredulità. Egli si trova costantemente nella posizione di chiedersi a cosa stia assistendo perché tutto lo svolgimento della vicenda è un continuo entrare e uscire dalla narrazione interna (il western che si sta girando) verso la narrazione esterna (il film di Hopper). The Last Movie è un’interrogazione sulla differenza tra realtà e finzione, tra verità e rappresentazione. Anche l’eccellente lavoro sul sonoro contribuisce a spiazzare la stabilità spettatoriale: i bruschi tagli spezzano la continuità e le musiche (di Kris Kristofferson, tra gli altri) ingannano sovente quando, apparentemente extradiegetiche, si rivelano invece diegetiche.

Se “freedom is just another word for ‘nothing left to loose’”,  - come canta la ballata presente nella colonna sonora - certamente Hopper ha fatto della libertà espressiva una delle caratteristiche fondamentali di quest’opera, attraverso un montaggio atipico, angolature inusuali, continui salti in avanti e all’indietro nel tempo della narrazione.

The Last Movie vuole abbracciare la vita in tutta la sua grandezza e magnificenza, dai meravigliosi paesaggi della natura incontaminata fino alle creazioni artistiche dell’uomo, dai misteri dell’amore alle relazioni sociali, dall’erotismo agli sguardi differenti che si possono avere sulle cose (gli amanti osservati prima dagli occhi innocenti e curiosi dei bambini, poi da quelli maliziosi e moralisti del prete). Un’inquadratura potrebbe essere eletta a sintesi di questa vitalità, di questo anelito: il movimento di macchina che parte dall’uomo a terra (quante cadute in questo film! Da cavallo, dai tetti, dalla moralità...) e sale, sale, inquadra il microfono della troupe e sale ancora fino alla croce in cima al campanile. Cinema totale, cinema assoluto.