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Il conflitto narrativo di “Hopper/Welles”

Un dialogo tra due figure emblematiche nell’industria cinematografica del proprio tempo, alla stregua dei più formali confronti tra Francois Truffaut ed Alfred Hitchcock o la più recente intervista di Olivier Assayas ad Ingmar Berman, ma con una fondamentale differenza: in questo caso non è il giovane baldanzoso che interroga il Maestro, bensì il navigato autore che dall’alto della sua levatura culturale trova un perverso piacere a problematizzare le affermazioni dell’esordiente. Il ritratto che traspare è quello di un Orson Welles disilluso, pesantemente inaridito dalle diatribe produttive, contrapposto all’ingenua spensieratezza di Hopper, stella in ascesa che ancora conserva l’illusione di poter cambiare il mondo con il potere della propria arte.

“Snack Bar Blues” di Dennis Hopper a Venezia Classici 2019

Hopper grazie a questo personaggio tratteggia alcuni degli animi americani dei primi anni Ottanta, e lo fa con una violenza alla Peckinpah, descrivendo il disagio che la vita offre a un ceto sociale inferiore che ha come unica soluzione possibile la morte: il tramonto dei cowboy fantasmi che ostinati si aggirano per quelle città come il tassista di Taxi Driver di Martin Scorsese e i personaggi de Il ritorno dei morti viventi di Dan O’Bannon. I personaggi del film sono infatti dei dimenticati o, meglio, ignorati dalla società e dalle sue regolamentazioni. Così i ragazzini subiscono la ferocia del paese che li vede come un inutile peso e le loro proteste non conducono a prospettive migliori se non alla via della tragedia ovvero quella di uccidere i padri, le madri e sé stessi.  Snack bar blues è ancora oggi aggressivo come i tagli di montaggio netti di Hopper e la sua camera che spesso si muove velocemente per seguire gli sbalzi d’umore e il ritmo frenetico della vita della sua giovane protagonista. Hopper ha messo quindi sotto i riflettori i problemi di quell’America e lo ha fatto servendosi degli occhi di una giovane ragazza distrutta dai suoi familiari, dalle sue frequentazioni e dalla società che la ignora.

“Easy Rider” e il percorso spirituale della contro-cultura

La ricerca spirituale dei due è messa in scena da Hopper, in quanto regista, in maniera del tutto particolare. Debitore verso un certo cinema europeo dell’epoca (i film della Nouvelle Vague su tutti), che cercavano di rinnovare il linguaggio cinematografico per narrare nuove storie, Hopper si cimenta in sperimentazioni che, con ogni probabilità, una major hollywoodiana non avrebbe mai accettato. I sorprendenti e per nulla ortodossi stacchi di montaggio intermittenti che sembrano far succedere le inquadrature sbattendo gli occhi, la morbosità eroticizzante con cui si sofferma sulle motociclette, la sequenza delirante e intrisa di blasfemia del cimitero fanno di Easy Rider un’opera con cui qualsiasi film a venire, che pretenda di definirsi libero, dovrà necessariamente confrontarsi.

“The Last Movie” di Dennis Hopper e la fede dell’uomo moderno

Ritirato dalla circolazione poco dopo l’uscita del 1971 per il sovversivismo del suo linguaggio, il capolavoro di Dennis Hopper The Last Movie torna a splendere sugli schermi per la prima volta dopo il restauro in 4K. Film-monumento, opera meta-cinematografica e chiaro esempio di una contro-cultura filmica erede di Easy Rider, The Last Movie è ciò che Hopper avrebbe voluto che fosse: “a new-new-New Testament in film”. Le parole di Henry Hopper, figlio del regista, così riassumono intenti ed esiti di un’opera che travalica i propri confini. Sebbene la definizione non sia da intendersi in senso strettamente religioso, è innegabile che il lascito hopperiano affronti, tra i numerosi temi, anche il rapporto dell’uomo moderno con la fede.

“The Last Movie” di Dennis Hopper al Cinema Ritrovato 2018

Hopper è più radicale e trasforma un film Hollywoodiano in un’opera metadiscorsiva, un laboratorio in cui sperimentare nuove formule espressive. In questo senso la sua operazione ricorda l’opera di cineasti come Godard o Debord, ma la verità è che The Last Movie ha più affinità con il mondo della musica che con quello del cinema. Non bisogna dimenticare che mentre nascevano band come i Blue Cheer o gli MC5, Hopper esordiva come regista con Easy Rider, il film che più di tutti ha influito sull’estetica del neonato hard rock, fatta di giubbotti di pelle e motociclette. La musica di quell’epoca e The Last Movie sono inscrivibili nell’ambito della controcultura, della critica sistematica alle convenzioni borghesi e dell’accanimento cotro il consumismo. La processione che apre il film sintetizza bene tutta l’opera, in quanto viene mostrato un corteo trasportare la riproduzione di unna macchina da presa insieme a crocifissi e altre icone religiose, mentre una voce fuori campo annuncia “la mostra di bellezza dei film”.

“Easy Rider” tra Cinema e Sessantotto

Pensato dal regista Hopper e dal produttore Fonda come un western, coi nomi dei due protagonisti che rimandano direttamente a Wyatt Earp e Billy The Kid,  Easy Rider conserva la capacità di mitizzazione del genere, ma sa rielaborarla con una retorica del tutto nuova: l’epica degli affreschi paesaggistici e della moto come simbolo si accompagna a una colonna sonora rock potentissima  e dialoghi sconclusionati ma emotivamente evocativi, in parte improvvisati dagli stessi attori sotto l’effetto di droghe. Affianca a un passo del racconto maestoso e per molti versi classico, anche momenti di montaggio serrati, violenti, ricchi di inusuali flash-forward, e una scena nel cimitero da cinema sperimentale. Easy Rider è un film sulla libertà come apertura alle possibilità, ma anche come senso di inappartenenza alla realtà dominante. 

Cinema Ritrovato 2017: “Along for the Ride”

Nick Ebeling ha girato un documentario ricco di materiali e interviste attraverso le quali siamo sollecitati a compiere un itinerario non convenzionale nell’abisso della personalità contorta e sovversiva di Dennis Hopper. Un artista a tutto tondo, conosciuto per caso in un autodromo quando il giovane Ebeling voleva intraprendere la carriera di attore, presto interrotta per dedicarsi al cinema sperimentale a seguito della visione di Fuga da Hollywood, pellicola sottovalutata e incompresa di Hopper, reduce dal successo di Easy Rider.