Il rischio che corrono i film che parlano del cinema è quello di risultare retorici, di ripetere quello che è già stato detto molte alte volte e di finire per essere una mera esaltazione della settima arte. The Lost Notebook stupisce proprio perché evita da subito questa direzione e decide di utilizzare il cinema per raccontare le persone.

Diretto dalla regista danese Ida Sørensen, il film parte dal ritrovamento del diario di un operaio ungherese ormai deceduto. All’interno di questo diario, l’uomo ha tenuto traccia di tutte le volte in cui è andato al cinema nella sua vita, nell’arco di circa cinquant’anni. A partire da questa reliquia, il film racconta quel che resta della famiglia dell’uomo e il modo in cui il cinema ha accompagnato le vite di questi individui della classe operaia dell’Ungheria.

Due cose emergono principalmente mentre si guarda The Lost Notebook: da una parte l’ingresso della macchina da presa nella vita di queste persone diventa un modo per parlare di vissuti e identità che sono universali. Non c’è solo l’Ungheria sullo schermo, ci sono il mondo intero e relazioni interpersonali che, soprattutto oggi, riecheggiano le sfumature della contemporaneità. Stupisce quasi che in un film come questo si veda pochissimo cinema.

Gli estratti da altre pellicole sono ridotte al minimo essenziale, perché la narrazione si concentra quasi totalmente su questi personaggi e sulle loro vite. Di tanto in tanto Sørensen sembra rinunciare alla sguardo più documentaristico per comporre quadri nettamente più formali e contemplativi. È il caso soprattutto dei momenti che vedono protagonista Attila, il più giovane della famiglia, e il ragazzo con cui ha una relazione che non può confidare ai suoi parenti.

E qui ci si collega al secondo aspetto fondamentale di questo film. The Lost Notebook non racconta il cinema in quanto tale, ma quello che significa il cinema per noi. Il film di Sørensen non vuole essere un trattato di storia del cinema – anche se ogni tanto viene offerto un gradito ripasso – ma piuttosto una riflessione su come l’esperienza che noi facciamo dei film ci dica molto di noi e della società che abitiamo.

Il cinema diventa innanzitutto una finestra sulla Storia: tornata al Biografilm di Bologna, dove nel 2023 aveva presentato il pitch del progetto, Sørensen ha definito il diario che dà il titolo al film “l’impronta digitale della storia dell’Ungheria”. Le vicissitudini del paese nel corso di mezzo secolo vengono riflesse nelle pagine del diario e nei discorsi tra i personaggi. Ma non si tratta solo di una riflessione storica, perché la dimensione più importante nel film è l’indicazione del cinema come un modo per fuggire dalla realtà, così da rileggerla con occhi diversi.

I momenti in cui i personaggi maneggiano i DVD o guardano un film sul telefono non ci raccontano solo la loro passione per il cinema, ma il loro bisogno di evadere tramite la finzione e di conseguenza orientarsi nuovamente nella propria realtà. Così, quando Attila dice di guardare La sirenetta perché, proprio come la sua protagonista, ama qualcuno che per la sua famiglia non dovrebbe amare, diventa chiaro che The Lost Notebook non racconta identità cinefile, bensì il potere culturale che hanno i film e l’esperienza che noi facciamo di essi.