“Ciò che è straordinario in ogni fotografia non è tanto il fatto che là, secondo l'opinione corrente, sarebbe stato 'fissato il tempo', bensì al contrario, che proprio in ogni foto esso torna a dar prova di quanto sia in-arrestabile e continuo” . Queste parole di Wim Wenders (tratte da To shoot pictures..., un poesia che introduce un suo libro fotografico Una volta), affrontano, in velocità ma in modo assai puntuale, un tema centrale per chiunque si occupi di immagini: il tempo. Così una fotografia, mentre ferma, blocca e rende immutabile ciò che in essa compare, fermando il tempo in quell'unico irripetibile istante, allo stesso modo certifica anche l'inarrestabilità del tempo che scorre, il suo darsi solo in avanti.

Una riflessione questa che ci porta nel fulcro centrale di The Photograph, l'ultimo film di Stella Meghie.  Mae ritrova in una cassetta di sicurezza, una foto che ritrae sua madre Christina da giovane. Una immagine che non aveva mai visto prima, un ritratto semplice, estemporaneo, naturalissimo, come pure se ne scattano tanti, ma era insolito ritrovarla come soggetto. Rinomata fotografa, sua madre non era infatti solita apparire davanti alla macchina fotografica. Dunque chi la stava guardando attraverso la macchina fotografica, lì seduta vicino ad un tavolo, in un luogo e in un tempo di cui lei non sapeva nulla? Di chi erano gli occhi che guardavano sua madre e che lei stava guardando?

Quella stessa fotografia viene vista per caso anche da un giornalista, Michael Blook, a casa di Isaac, un pescatore che Blook vuole intervistare per un articolo che sta scrivendo sulla vita a New Orleans dopo l'uragano Katrina. La trova in mezzo ad altri bellissimi scatti e parlandone con Isaac si scoprono essere tutti scatti della stessa fotografa, Christina Eames. E quel ritratto dunque? Scopriamo subito che fu proprio Isaac a scattarlo. Si scopre così un grande amore di gioventù, che ha lasciato ancora rimpianti, ripensamenti e una nostalgia insanabile in Isaac. Deciso a saperne di più su quella fotografa, Michael si mette alla ricerca della figlia e così inizia un avvicinamento fra lui e Mae. Si scoprono un po' alla volta, si svelano reciprocamente nelle loro differenze (idealmente sublimate nel simpatico siparietto fra la preferenza per Drake di lei e di Kendrick Lamar di lui), ma l'attrazione vince sulla prudenza e la conoscenza si evolve ben presto in irresistibile attrazione.

In quella stessa cassetta di sicurezza, insieme alla foto, ci sono anche due lettere, una per Mae e una per suo padre. La lettura di questa lettera scandisce la progressione del film, ne detta il ritmo e consente di tenere saldata la narrazione che a quel punto prosegue sia in avanti, l'innamoramento fra Mae e Michael, che all'indietro, ripercorrendo la vita di Christina, le scelte che ha compiuto, la fatica per far affermare la sua scelta di occuparsi di fotografia agli occhi di una madre che invece la ostacolava e la dolorosa decisione di lasciare un grande amore per tentare la carriera di fotografa a New York. Un amore da vivere oggi e uno che non ha avuto il tempo di esistere compiutamente, laggiù, in un luogo che si è dovuto abbandonare e in un tempo di cui solo un anziano pescatore di New Orleans ha ormai memoria. Le scelte di sua madre e i suoi dubbi risuonano nella testa di Mae come qualcosa che lei ben conosce e nelle quali si ritrova, quasi una sorta di destino segnato, di percorso già scritto come se gli errori dei genitori fossero una traccia dentro cui i figli si trovano ad inciampare in modo irreversibile e ineludibile. Scegliere se vivere fino in fondo una storia d'amore dunque diventa quasi per la protagonista anche una possibilità di riscattare un amore lontano nel tempo che non si è potuto compiere, che due persone hanno scelto di non vivere.

Ripensando al film in controluce, scorre in modo sotterraneo ma davvero in modo troppo abbozzato l'idea che per essere veramente liberi di scegliere e di andare avanti occorra conoscere a fondo quali sono le proprie origini (familiari, sociali, geografiche, storiche...), da dove veniamo, cosa ci ha portato ad essere nati proprio lì, quali percorsi umani ci hanno permesso di essere qui e ora, e in questo senso, il continuo passaggio fra New York e New Orleans del film evoca anche una interessante possibilità di riflessione sul concetto identità afroamericana, sui luoghi dei padri che vengono abbandonati e sul bisogno di “tornare a casa” per provare a ri-conoscersi.

Ben radicato in una medietà estetica e produttiva con poco coraggio ma con molto mestiere, il film scorre via piacevolmente, tassello inessenziale ma gradevole da inscrivere nel sempre florido segmento della commedia sentimentale americana.