Dodici ragazzini fra gli 11 e i 16 anni e il loro allenatore di calcio entrano in una grotta per una piccola avventura. Siamo nel nord della Thailandia, è giugno del 2018, i monsoni dovrebbero arrivare solo il mese successivo. Ma la pioggia arriva improvvisa e inesorabile, bloccando l'uscita e costringendoli a risalire all'interno di vari chilometri per trovare riparo dall'inondazione in atto. Fuori, solo le biciclette abbandonate come ultima traccia di loro. Di lì una storia di cronaca che all'epoca è rimbalzata sui media di tutto il globo, e che è ora al centro di The Rescue – Il salvataggio dei ragazzi, realizzato sotto l'egida di National Geographic (e disponibile su Disney+) da Elizabeth Chai Vasarhelyi e Jimmy Chin.

I due coniugi, già autori dei documentari sportivi Meru e Free Solo, premio Oscar 2019, riescono a raccontare il senso di un'impresa per la quale l'aggettivo “eroica” non pare fuori luogo, con il loro caratteristico e mirabile bilanciamento fra tensione avventurosa e fattore psicologico. Pur muovendosi in un territorio, gli abissi, per natura intrinseca meno spettacolare e drammatizzabile delle vette dei loro lavori precedenti, riescono grazie alla computer grafica e a dei re-enactment una volta tanto sensati e non inutilmente enfatici (peraltro realizzati dagli stessi protagonisti) a rendere l'idea delle condizioni improbe nelle quali si sono trovati a operare i soccorritori.

Oltre a un clima tensivo da fiato trattenuto, non sottovalutano però la difficoltà di identificazione degli spettatori quando si trattano storie ai limiti dell'esperienza umana, e così pur rendendo conto della magniloquenza di un'operazione che ha coinvolto migliaia di civili e militari di svariati paesi, si focalizzano poi sugli speleosub che hanno di fatto effettuato il recupero, con in testa i due leader Rick Stanton e John Volanthen. Un manipolo sparuto di appassionati di uno sport misconosciuto, sparsi ai quattro angoli del globo, con professioni e vite differenti, impossibilitati a spiegare a tutti gli altri come ci si possa sentire tranquilli e protetti a nuotare soli al buio nei pertugi della Terra.

Ne risulta un clima da gentile rivincita dei nerd, nel quale le personalità dei protagonisti, come già in Meru e Free Solo, vengono messe al centro, sino a rimembrare gli episodi di bullismo subiti nell'adolescenza. Si evita così quel rischio da “fardello dell'uomo bianco” di kiplinghiana memoria che il taglio adottato potrebbe comportare, nel mostrare come risolutori definitivi di una vicenda tailandese un gruppo di stranieri del primo mondo, che hanno accumulato quelle competenze per hobby. Un taglio a volte considerato condizionato dal fatto che Netflix si sia assicurata i diritti della versione dei ragazzini per una propria produzione, e invece pienamente omogeneo alla visione di Chai Vasarhelyi e Chin.

The Rescue è concentrato più sullo sforzo che sul trionfo dell'impresa, più sugli struggimenti nel problem solving e i dilemmi etici che sull'ardimento, con una celebrazione del coraggio che emerge con forza proprio dalla comprensione della natura squisitamente umana di questi uomini. E per quanto il finale trovi un senso di chiusura anche nelle medaglie e nei pubblici riconoscimenti, è evidente come voglia produrre in chi guarda più un senso di commosso sollievo che di adrenalinico trionfo. Non a caso la parola ripetuta più spesso da tutti non ha a che fare con l'occidentale concetto di vittoria, ma con quello universale di “generosità”.