The Store di Ami-Ro Skold è un film corale che unisce ingegnosamente live action e animazione in stop motion per raccontare in maniera originale la società capitalistica. In un isolato discount svedese i commessi si adattano a condizioni di lavoro sempre più opprimenti. La situazione esplode quando i dipendenti sono costretti a lavorare a chiamata, iniziando a litigare tra loro per contendersi le ore disponibili. Nel frattempo, all’esterno, un crescente numero di senzatetto, che sta costituendo una sorta di Comune, si affanna in tutti i modi per accedere al cassone dei rifiuti del supermercato, sempre pieno di prodotti non più esponibili, ma ancora edibili, suscitando l’ostilità dei lavoratori.
Ami-Ro Skold mostra grande abilità con la macchina da presa. L’obiettivo è sempre vicino ai personaggi e, con un ritmo serrato, li segue nei loro affanni quotidiani, nella loro angoscia di coordinare lavoro e famiglia, cui si aggiunge la difficoltà di uno stipendio misero. La prima qualità della regia è proprio quella di non trasformare i personaggi in mere vittime da compatire, ma uomini e donne autentici e sfaccettati. Queste storie individuali si intrecciano come fili dando forma ad un quadro sociale lucido e consapevole che fa capo al supermercato in cui i commessi si radunano per eseguire i loro compiti alienanti e sempre più frenetici per la produttività.
Il supermercato diventa un simbolo della società capitalista fondata sul consumo, sugli sprechi e sulla competizione, dove l’umano passa in secondo piano rispetto agli oggetti divenendo, anzi, oggetto tra gli oggetti, puro ingranaggio della distribuzione. Non solo il lavoratore, ma anche il cliente si trasforma in strumento in mano ad un sistema impersonale e indifferente di fronte alla sofferenza umana. Ed è per difendere questa macchina spietata che ai senzatetto all’esterno viene fatta la guerra per impedirgli di recuperare i “preziosi” rifiuti del discount.
La regista svedese tocca i tasti giusti mostrando come l’ossessione per la produttività trascini verso il basso le condizioni di lavoro, trasformando la vita degli operai in un inferno psicotico basato sulla competizione tra colleghi. Nonostante lo scenario inquietante Ami-Ro Skold lascia, forse ironicamente, le porte aperte ad un modello diverso e sostenibile, rappresentato dalla comune organizzata dai senzatetto. Una società che vive grazie agli scarti del supermercato e che diviene preferibile a quella civilizzata. Una società dove ognuno fa la sua parte secondo le sue capacità e che riesce addirittura a banchettare con quelli che la catena di distribuzione considera degli scarti perché esteticamente imperfetti.
In tal senso la figura del senzatetto è l’outsider che, sulla linea proposta da Marcuse ne L’uomo a una dimensione, sembra essere l’unico in grado trasformare la società, offrendo all’essere umano un’alternativa non più fondata sull’individualismo e sul profitto, ma sulla cooperazione e la solidarietà, oltre che dotata di un’anima ecologista.
Detto ciò, l’utilizzo della stop motion è sicuramente l’elemento più interessante e originale della pellicola, capace di dare una fisionomia orrorifica, ma anche ironica all’irrazionalità della società capitalista. L’esempio paradigmatico è rappresentato dalla prima sequenza dove vediamo nugoli di avventori, simili a zombie, assalire il reparto frigo del discount per accaparrarsi una confezione di pollo in offerta; una competizione che diventa ben presto violenta. L’animazione, che è utilizzata soltanto per le scene tra le corsie del supermercato, dà alla rappresentazione un senso di estraneità, un tentativo di edulcorazione che rende ancora più incredibile quello che nella quotidianità spesso giudichiamo normale.
In conclusione, The Store, ispirato al cinema di denuncia di Ken Loach, si rivela un ottimo film indipendente capace di raccontare in maniera autentica e senza moralismi le contraddizioni del nostro tempo.