Dopo Bird Box, il thriller distopico che, passati tre anni, ancora divide la critica, Sandra Bullock torna protagonista di un lungometraggio targato Netflix. Sembrano lontani i tempi dei grandi e meritati riconoscimenti per The Blind Side (2009) e Gravity (2013) in cui le sue prove d’attrice risultavano cariche di energia e dotate di visibili ottime intenzioni. Le narrazioni con cui, per ora, si confronta Sandra Bullock sembrano non dotarla di quell’aura attoriale che si poteva percepire sino a qualche anno fa.

The Unforgivable di Nora Fingscheidt (nota per Systemsprenger, in concorso alla Berlinale del 2019), nonostante i preziosi contributi di Guillermo Navarro alla fotografia e di Hans Zimmer alle musiche, è una di queste: scarica Sandra Bullock, non la valorizza, la indirizza molto velocemente verso il finale, e non le dà il tempo di compiere un’evoluzione. Il suo personaggio, Ruth, che immaginiamo essere pieno di complessità e sfaccettature, risulta piatto e, mancanza grave in una storia, non sembra adempiere a un cambiamento doveroso. Questo per una semplice mancanza di ostacoli forti (come i due figli del poliziotto, metafore dell’indecisione) che lasciano scivolare inesorabilmente il destino di Ruth verso un epilogo scontato e prevedibile.

Inoltre, gli stimoli narrativi per un dinamismo del personaggio sarebbero vari ed eventuali: Ruth esce di prigione dopo vent’anni di condanna per omicidio e il suo unico pensiero è quello di ritrovare a tutti i costi la sorella minore Katie (Aisling Franciosi) che nel frattempo è stata adottata e pare essersi dimenticata di lei. I pregiudizi nei confronti del suo passato da “ammazzapoliziotti” non sembrano minimamente scalfirla, ottiene immediatamente due lavori e riesce a impietosire un avvocato dal cuore buono affinché la aiuti a rintracciare la sorella, in barba alle dure ordinanze del tribunale e al fatto che l’incontro potrebbe provocare un ulteriore trauma psicologico a Katie.

Ci potrebbero essere persino interessanti spunti sulla redenzione post-carcere, il nuovo difficile percorso di inserimento in una società chiusa e sospettosa, la ricerca di una qualsiasi forma (pensata e costruita) di sostentamento per ricominciare, si potrebbe pure tentare un discorso intelligente sulla complessa situazione della permanenza in carcere per una donna, tutti temi importanti che vengono solo sfiorati e sorpassati dall’estrema rigidità emotiva di Ruth e dalla scarsa empatia che finiamo per provare nei suoi confronti.

Nei momenti di solitudine, in cui vorremmo intravedere qualche barlume di emozione in più, veniamo ogni volta bersagliati da innumerevoli flashback tutti identici fra loro (soprattutto a livello registico) del trauma vissuto vent’anni prima. In The Unforgivable, è purtroppo evidente, si semina molto, ma si raccoglie poco.