The Vast of Night – L'immensità della notte, disponibile dal 29 maggio su Amazon Prime, è un film minimale, elegante e sorprendente. Presentandolo al Toronto Film Festival, il regista Andrew Patterson ha spiegato al pubblico come due elementi fossero per lui dei presupposti essenziali: voleva fare un film che prendesse il genere seriamente e che si potesse ascoltare come se si trattasse di un racconto radiofonico o di un podcast. Entrambi gli aspetti risultano chiaramente dalla visione dell’opera prima del regista, che è al contempo un’operazione di minuzioso citazionismo storico ed estetico e una prova di abilità affabulatoria, grazie all’inusitato utilizzo del dialogo e della narrazione, che convogliano il racconto dall’inizio alla fine.  

Ci troviamo all’interno del Paradox Theater, programma televisivo traslato da Ai confini della realtà, che ci proietta in una cittadina del New Mexico negli anni ’50. Tutti gli abitanti sono radunati nella palestra dove si apprestano ad assistere a una importante partita di basket. Una giovane centralinista e un conduttore radiofonico si inoltrano invece nel buio delle strade cittadine, seguiti dalla telecamera in un lungo piano sequenza, mentre parlano delle strabilianti scoperte scientifiche che si realizzeranno nel futuro. Una volta raggiunte le loro postazioni, entrambi sentono dei suoni meccanici disturbare le loro frequenze radio e cominciano a ricevere racconti e testimonianze inquietanti sull’origine di quei suoni. Da quel momento si avvia una rete di narrazioni, che compongono il quadro di una serie di incursioni aliene già avvenute nella stessa cittadina. È quindi il racconto, come già sottolineato, che si fa portatore dello sviluppo della trama e del crescendo della suspense e che simultaneamente ci mostra i lati oscuri e le contraddizioni della supposta età dell’innocenza della società americana.

Ricostruzione preziosa dell’America degli anni ’50, The Vast of Night stupisce per la sua estetica seducente: i lunghissimi piani sequenza che ci inoltrano nell’alternarsi di luci e ombre della cittadina, la qualità leggermente sgranata dell’immagine e le inquadrature dei locali abbandonati che si stagliano nella notte, che ci ricordano le solitudini dei sobborghi nei quadri di Hopper. Patterson riesce a traslare l’animo profondo dell’America della guerra fredda e della segregazione razziale, ma anche delle gonne sotto al ginocchio, delle buone maniere e del conformismo dilagante, tramite un gioco di sottrazione di immagini spettacolari e attraverso una sovrabbondanza di testimonianze orali, che contribuiscono a creare un senso di inquietudine strisciante.

Le citazioni cinematografiche abbondano, dall’estetica di American Graffiti alla capacità evocativa degli horror low budget della RKO di Val Lewton fino alla rappresentazione dell’invasione aliena come metafora di un’omologazione di massa figlia della nascente società dei consumi già preannunciata dal cult di Don Siegel L’invasione degli ultracorpi.  A tutto ciò si aggiunge un aspetto che potremmo definire quasi metafisico, un fatalismo malinconico da incubo d’infanzia che si concretizza magicamente sotto ai nostri occhi, elemento finale che rende The Vast of Night un misterioso, piccolo gioiello cinefilo.