Sembra davvero un’eresia accostare il nome di György Lukács al genere musical, che nella percezione di molti si potrebbe avvicinare allo “spettacolo completamente vuoto e privo di contenuto”, frivolo e generato dalla moderna vita urbana di cui il critico ungherese scrive nel suo studio Il dramma moderno (1911). Eppure l’adattamento del musical Tick, Tick . . . Boom! di Jonathan Larson, autore che raggiunse la fama postuma dei Tony Award e del Pulitzer per Rent (1996) di cui non riuscì a vedere il trionfo morendo il giorno precedente alla prima, rilegge la forma del musical in termini lukácsiani evidenziando l’importanza politica ed ideologica dell’azione per un teatro di massa. Una rilettura radicale del musical, quindi, un progetto che il film sottolinea utilizzando, in divertiti camei, icone del genere come Joel Grey, Chita Rivera, Phylicia Rashad, André De Shields.

L’ispirata regia di Lin-Manuel Miranda, qui al suo debutto cinematografico dopo il successo come autore del musical Hamilton (2015), i coinvolgenti numeri musicali e la sceneggiatura basata sul libretto di Larson, l’intensa recitazione di tutto il cast, riescono a fare di Tick, Tick . . . Boom! una rappresentazione della vita umana in termini di totalità, in cui l’interiorità e l’esteriorità dei personaggi vengono sempre colte nei rapporti politici e sociali con la realtà contemporanea. I singoli personaggi non sono mai percepiti solo individualmente ma sempre all’interno degli orizzonti storici e sociali.

Gli eroi di Tick, Tick . . . Boom!, come nella teorizzazione lukàcsiana del dramma, sono in lotta contro una totalità, un intero orizzonte di vita: quello del Senatore Jesse Helms e dei cristiani fondamentalisti della Moral Majority americana, espressamente citati nel film, che, quando il musical fu scritto negli anni Novanta, facevano del razzismo, dell’omofobia, della discriminazione dei sieropositivi e del controllo sulle produzioni artistiche la loro agenda politica e base elettorale. “Is this real life?”, si chiede in una struggente canzone uno dei personaggi del musical dopo aver scoperto la sua sieropositività, condizione che potrebbe metterlo al di fuori degli standard di efficienza e di accettabilità della multinazionale per cui lavora.

Chiaramente autobiografico, Tick, Tick . . . Boom! si concentra sulla vita di Jon agli inizi degli anni Novanta, nei giorni prima del suo trentesimo compleanno e della preparazione del workshop per il suo primo musical Superbia. La pandemia dell’AIDS, ancora al tempo un virus senza le cure antiretrovirali, e il conservatorismo fondamentalista e neoliberista delle amministrazioni Reagan e Bush colpiscono profondamente Jon e il suo gruppo di amici, perennemente in bilico tra controcultura e bisogno di stabilità.

Il film alterna una messa in scena da one man show in cui il personaggio di Larson si esibisce in un teatro davanti al pubblico con una band (come effettivamente successe per le prime rappresentazioni di Tick, Tick . . . Boom!) con numeri corali in cui il testo non viene semplicemente “cantanto” ma viene rappresentato. Questo doppio status del film ci riporta alla contrapposizione lukàcsiana tra il testo e la sua performance, tra teatro semplicemente  letto che non può mai essere drammatico e “lo spirito del teatro vivo” ovvero la traduzione della volontà autoriale e testuale in un’azione materiale con lo scopo di raggiungere una massa di spettatori. “Nessuno fa abbastanza!” esclama Jon davanti ad uno dei primi poster di ACT UP “Silence=Death”.

L’esclamazione diventa una chiamata all’azione. Come recita l’ultima canzone, “le azioni parlano più forte delle parole”. Un messaggio corale contro l’omologazione neoliberista in cui la coscienza di classe si interseca con quella di genere ed etnica: “se siamo così liberi, perché così tante persone sanguinano?”.