Inizia con la finzione il nuovo film dei fratelli Dardenne. Una bugia bianca proferita dalla giovane immigrata illegale Lokita per salvare lei e suo “fratello” Tori. Come in Pickpocket del maestro Bresson, un gesto immorale splende di nuova umanità. Eppure il sospetto delle istituzioni porta a non credere a questa finzione costringendo i due immigrati all'illegalità e alla malavita.

Come in ogni film dei Dardenne anche Tori e Lokita, presentato a Cannes e vincitore del premio per l'anniversario del festival, si fonda su un'ingiustizia quotidiana indagata a partire dagli effetti sui corpi delle vittime. Spunto di partenza questa volta è un centro dell'immigrazione e il rapporto intimo tra due giovanissimi migranti. Lontani dalla famiglia, riescono a essere compresi e riconosciuti solo l'uno dall'altro. La centralità della questione dell'altro nei Dardenne si può leggere nelle pagine del diario di Luc, recentemente tradotto da Il Saggiatore, Addosso alle immagini, in particolare nel dialogo a distanza con il pensiero di Lévinas.

Tutto il film si costruisce a partire da una drammaturgia dell'altro, della sua presenza e della sua eliminazione. Sono presenti nel film due regimi di finzione legati all'alterità. Una finzione che assume l'altro, lo ingloba e lo richiede, che coincide nel film con la parte avventurosa in cui entrambi i corpi sono presenti come se fossero un'unica entità. Una finzione che si esprime alla sua massima potenza nel cantare insieme la canzone di Branduardi Alla fiera dell'est, ricordo della loro esperienza di sbarco in Sicilia e simbolo del loro stare insieme nella fuga.

Il secondo regime di finzione trasforma l'avventura in un thriller, la presenza dell'altro in una sua ricerca assidua, speranzosa quanto disperata. Persa nel mezzo di traffici illeciti, invischiata in giochi troppo più grande di lei, Lokita viene rinchiusa a lavorare lontana da Tori. Il mondo sembra intrappolare il corpo in un'esistenza in cui non c'è più bisogno dell'altro. Anche le istituzioni stanno al gioco di espulsione dell'altro. Da un'assenza di lavoro delle istituzioni si istituisce un nuovo dispositivo, il denaro, regolatore dei rapporti di forza nella società, come in un altro film di Bresson, L'Argent. Dispositivo che a Lokita apparirà anche emancipativo, volonterosa come è di donare soldi alla famiglia rimasta in Africa. Ma ben presto il soldo sarà un modo per comprare anche il suo corpo.

Dopo quaranta anni di carriera e due Palme d'oro, i Dardenne continuano a proporre il proprio “cinema senza stile” consapevoli della necessità di far esistere questi corpi marginalizzati e disconosciuti. Si possono notare negli anni differenze come il sempre maggior impegno nella scrittura che ha messo in secondo piano il lavoro d'improvvisazione e sperimentazione sul set. L'inquadratura in semi-soggettiva non è più nervosa come un tempo, eppure rimane costante il rigore dello sguardo.

E allora si può accettare, come risultato del lavoro drammaturgico, un po' di didascalismo nella scena finale, dove il corpo disconosciuto può finalmente dire in pubblico l'ingiustizia che ha subito e di cui si fa simbolo.