Il documentario Blow Up di ‘Blow Up’ è stato realizzato da Valentina Agostinis dopo l’uscita del suo libro Swinging City, entrambi sono un ritratto della Londra degli anni ’60, una città che non lascia indifferente Michelangelo Antonioni, conosciuta nel ’65 quando Monica Vitti girava Modesty Blaise, quella swinging London che ha come protagonisti “i giovani artisti, i pubblicitari, coloro che fanno tendenza, gli stilisti, i designer e i musicisti, tutti influenzati dal movimento pop”, come spiegherà il regista in un’intervista ai Cahiers du Cinéma, sono i rappresentanti di questa rivoluzione culturale portatrice di innovazioni di ogni tipo, prima fra tutte la fotografia, a incuriosirlo e a divenire l’anno seguente il soggetto da cui prende forma Blow-up.

Il film è il frutto di un’attenta analisi della vita dei fotografi creatori di quell’arte “popolare, transitoria, spendibile, low cost, prodotta in massa, giovane, spiritosa, sexy, vistosa, attraente, commerciale”, prendendo a prestito una brillante definizione della Pop Art data dall’artista inglese Richard Hamilton nel ’57.

Valentina Agostinis ricostruisce gli incontri e i luoghi in cui Antonioni elabora e ambienta il film, “una specie di visione a volo d’uccello sulla Londra del periodo” costruita attraverso una rassegna di curiosi e imprevedibili aneddoti, come quando una sera Paul McCartney mostra al regista i suoi home movies, video sperimentali à la Warhol, esperienze che arricchiscono la sua ricerca quasi antropologica, spingendolo verso la conoscenza diretta di un ambiente artistico in fermento dal quale trae ispirazione per la sceneggiatura. Poche pagine, una dozzina, inizialmente senza dialoghi, che cambiano nel corso della lavorazione di Blow-up, come la scena finale della partita nel campo da tennis, una soluzione dettata dai tempi stretti ma che, mettendo da parte per un momento le numerose interpretazioni, rivela un aspetto autobiografico legato alla giovinezza del regista, campione di tennis e rivale di Giorgio Bassani al Tennis Club Marfisa di Ferrara.

Sono le persone che hanno lavorato al suo fianco a ripercorrere, attraverso le numerose testimonianze raccolte nel documentario, il work in progress delle riprese, tra i tanti, Piers Haggard, alla sua prima esperienza nel cinema come assistente ai dialoghi; Barry Miles, fondatore della galleria e libreria Indica, luogo del fatale incontro tra Yoko Ono e John Lennon; Clare Peploe, sorella di Mark Peploe, due ciceroni swingers che guidano il regista tra i locali e le boutique alla moda (come Granny Takes a Trip nella quale acquista il vestito anni ’20 di perline e strass indossato da Verushka), un’amicizia che sfocerà nella collaborazione alla sceneggiatura di Zabriskie Point e di Professione: reporter.

Ed è grazie a una segnalazione di Clare che Antonioni vede Hemmings all’Hampstead Theatre Club, in quei giorni l’attore recita una parte in Adventures in the Skin Trade di Dylan Thomas, il cui adattamento è di Andrew Sinclair; piace pensare che il nome del fotografo di Blow-up sia un omaggio a quel Thomas.

Antonioni lavora su Hemmings contattando alcuni dei fotografi di grido che animano la metropoli, vuole dare autenticità al suo personaggio e solo gli interpreti della controcultura giovanile, i creatori di una nuova immagine della moda e del rock possono aiutarlo, questi sono “i nuovi persuasori, coloro che hanno inventato nuovi canoni di bellezza e che, con una sola foto ispirata, possono rendere improvvisamente datata persino una star del cinema famosa in tutto il mondo. Non hanno alcun background, nessuno sa da dove sono spuntati”, sono le parole del regista a definire e motivare la scelta di un protagonista che incarna la forza innovativa di un linguaggio e di uno stile di vita alternativo.

Nello studio dell’americano David Montgomery Antonioni apprende le tecniche fotografiche, sua la copertina del disco The Who Sell Out, l’indimenticabile bagno di Roger Daltrey nell’Heinz Baked Beans e di Electric Ladyland di Jimi Hendrix che durante l’intervista il fotografo mostra con orgoglio. Montgomery, oltre a prestare il suo assistente a Thomas, ha una piccola parte nel film, che ricorda con un po’ di imbarazzo, lo troviamo nei titoli di testa mentre fotografa la modella Donyale Luna in posa su un tetto, in quell’occasione, davanti allo sguardo perplesso di Antonioni si ferma per cambiare il rullino, lui stava fotografando veramente, faceva il suo lavoro non poteva solo recitarlo!

Lo studio in cui Thomas lavora è quello di John Cowan che il regista affitta per il periodo delle riprese, in quei mesi il fotografo va a vivere in un caravan restando nelle vicinanze così da poter seguire Hemmings, il suo “sostituto”. Nel film si intravedono alcune stampe fotografiche di Cowan influenzate dai film di James Bond che ritraggono la compagna e modella Jill Kennington, tra queste spicca Jill Birds on Space, titolo di uno scatto che immortala Jill nei panni di una spericolata paracadutista. Jill racconta di aver interpretato una delle modelle mute, stupide e immobili, dirette e rimproverate da Thomas nel celebre tableau vivant. L’ex modella, diventata a sua volta fotografa, spiega che Antonioni ha unito il personaggio di David Bailey all’energia di Cowan, era infatti quest’ultimo a fotografare le modelle facendole sdraiare come accade con Verushka.

Fino a questo punto si è parlato delle influenze che alcune figure chiave hanno avuto sulla personalità e sulla tecnica di Thomas, per quanto riguarda invece la produzione fotografica del protagonista nel film, i suoi ingrandimenti, i blow up appesi alle pareti sono di Don McCullin, uno dei più grandi fotografi di guerra; sue anche le fotografie di emarginati dell’East End londinese scattate da Thomas nel dormitorio. Queste immagini mostrano i due principali filoni di ricerca fotografica del periodo, quello legato alla moda e quello dei reportage. Antonioni decide di mettere in relazione i blow up di Thomas con i loro omologhi pittorici e chiede a Ian Stephenson di realizzare dei drip painting da inserire nel film; Bill, il pittore amico del protagonista, prenderà a prestito gli abiti del pittore del quale sembra essere diventato l’alter ego.

Nel documentario della Agostinis, tra i numerosi dietro le quinte non si può tralasciare il valore attribuito dal regista al colore che manipola sul set, ad esempio spruzzando il verde sull’erba, colorando i tronchi degli alberi, l’asfalto o dipingendo di rosso un’intera strada che Thomas attraversa velocemente in auto; pochi anni dopo Franco Nero, artista in preda al delirio, come Antonioni utilizzerà un tono simile per tingere gli alberi in una scena del film di Elio Petri Un tranquillo posto di campagna. In una città grigia viene naturale sentire l’esigenza di iniettarvi dei colori come fanno i giovani indossando abiti variopinti e gli artisti portando nelle loro opere una gamma cromatica vivace in contrasto con una Londra fumosa.

Grazie a questo film Antonioni entra a tutti gli effetti nella storia del rock attraverso l’incontro con Simon Napier-Bell, ex manager degli Yardbirds, al quale si rivolge perché interessato alla performance di Pete Townshend, la leggendaria distruzione della chitarra contro l’amplificatore. Napier-Bell fiutando l’opportunità si inventa che Jeff Beck, il suo chitarrista, ripete regolarmente il gesto che tanto gli interessa. Un’innocente bugia fa si che in Blow-up si trovi un raro filmato di Jeff Beck, che rompe una chitarra per la prima volta, assieme a Jimmy Page. Di lì a poco Beck lascia il gruppo e si potrebbe ironizzare dicendo che Antonioni ha involontariamente contribuito alla rottura degli Yardbirds e alla nascita dei Led Zeppelin.