In occasione delle celebrazioni felliniane, proseguiamo con la pubblicazione di alcuni estratti di articoli che scrittori, poeti e intellettuali hanno dedicato al Maestro e al suo cinema, contenuti nel fondo Calendoli. È la volta di Camilla Cederna (Milano 1911-1997), una delle prime donne in Italia a conseguire la laurea. Di estrazione alto-borghese, la sua carriera di giornalista e scrittrice di costume e di politica (dal 1945 al 55 è redattrice del settimanale L’Europeo e successivamente, inviata de L’Espresso fino al 1981) fu costellata da pubblicazioni di inchieste che la misero al centro di bufere mediatiche e processuali tra cui il caso dell’anarchico Giuseppe Pinelli, indagato per la strage di piazza Fontana e alla fine degli anni Settanta la polemica scoppiata intorno al Presidente della Repubblica Giovanni Leone che fu costretto a dimettersi.

Penna incredibilmente acuta, tagliente, impietosa che dalle pagine della sua rubrica Il lato debole su L’Espresso, ha denudato la società italiana mostrandone le ipocrisie, le grettezze, ma mai con sguardo moralista, sempre con passione. E per Fellini la Cederna sviluppò un vera passione tanto da scrivere uno dei più brillanti articoli sull’impatto di La dolce vita sulla società italiana dal titolo provocatorio Le signore lo sconsigliano alle cameriere e fu scelta dal critico, scrittore e sceneggiatore Renzo Renzi per curare la pubblicazione dedicata a 8 e ½ per la collana Dal soggetto al film dell’editore bolognese Cappelli.

Dopo Giulietta degli spiriti Fellini ha una battuta di arresto in cui affrontò una lunga malattia e logoranti battaglie legali unite allo sconforto di non riuscire a portare avanti il suo progetto del Mastorna. La Francia gli offrì la possibilità di un ritorno sul set per girare uno degli episodi di Tre passi nel delirio (1968), ispirati ai racconti di Edgar Allan Poe. Dopo molto cercare il regista scelse Non scommettere la testa con il diavolo, dando al film il nome del protagonista, Toby Dummit. Camilla Cederna non poteva mancare questo appuntamento, pubblicando, il 5 novembre 1967 su L’Espresso, la sua visita sul set durante la lavorazione dal titolo Il ritorno di Federico.

Ecco il testo:

A Poe, Fellini ci è arrivato disobbedendo a quel bosco di avvocati che lo circondavano meno di un anno fa, ma obbedendo a uno di quegli sprazzi di intuizione che hanno sempre caratterizzato la sua vita, in un momento in cui per gli impegni che aveva e i frequenti scontri con De Laurentiis, il suo gesto poteva sembrare soltanto una sfida rischiosa. E fu quando si decise a cedere alla lunga corte che da tempo gli facevano i produttori francesi offrendogli di girare per quaranta minuti al massimo in un film di tre episodi: allora questi quaranta minuti di cinema Fellini li vide come un pretesto liberatorio, come un mezzo di familiarizzarsi di nuovo col suo mestiere togliendosi finalmente da una posizione greve e stagnante, dopo quella violenta bufera di microbi che l'aveva portato agli estremi confini della vita, e dopo quelle lunghe battaglie legali che come un'altra malattia l'avevano logorato nel profondo. [...]

Con l'ossigeno in testa, l'Oreal sulle sopracciglia, che gli fa prudere il naso, il baffo posticcio che gli pizzica il labbro, Terence Stamp, protagonista dell'episodio Non scommettere la testa col diavolo, si fa di minuto in minuto più esangue, e: "Cosa direbbe mia madre nel vedermi così?", sussurra a se stesso, paragonandosi a un moribondo, a un dissotterrato di fresco, se non a Dorian Gray nell'imminenza del crollo. Alterna quindi occhiate di allarme allo specchio, brividi leggeri e toccatine propiziatorie al dorato simbolo della fertilità che gli pende da un gran collanone d'oro e coralli. (Egitto, duemila anni avanti Cristo, forse la prima immagine della croce, comperato due anni fa a San Francisco "e non faccia complimenti, può toccarlo anche lei"). […]

La ragione per cui un tipo così finisce a Roma? Lo hanno chiamato per girare un film western ("Il primo western cattolico, capisce?", gli dirà il produttore nel tragitto dall'aeroporto alla televisione, "Il ritorno di Cristo in una desolata terra di frontiera, qualcosa fra Dreyer e Pasolini, con un pizzico di Ford beninteso..."). E perché accetta? Perché oltre alla paga il produttore gli regala una Ferrari. Perché poi Fellini a questo punto scatta con entusiasmo? Perché "la cosa che stimola la mia scarsa attitudine a questo mestiere è far vedere Roma da uno straniero drogato e ubriaco che ha il presentimento di vivere l'ultimo giorno della sua vita, e quindi la vive in stato di continuo delirio".  [...]

Il cuore rivelatore era il racconto che avevano scelto per lui i produttori, appartenente al filone classico di Poe, mentre invece Fellini preferiva qualcosa di meno occulto, meno macabro ed esasperatamente romantico: secondo lui infatti in rappresentazioni del genere nessuno sarebbe mai riuscito ad uguagliare il regista Bava, imbattibile, com'è noto, nelle lugubri ambientazioni. […]

Così diede l'incarico alla paziente segretaria-aiuto Liliana Betti di legger tutto Poe, e di riassumerglielo più velocemente che poteva. E così Liliana visse una decina di giorni in mezzo a salme, sudari, fuochi fatui, occhiaie vuote, sepolti vivi e incubi di varia natura, mentre l'incubo vero e proprio era poi quello di dover raccontar tutto a Fellini, impazientissimo di natura, "avanti avanti, salta i particolari inutili, e vuoi dirmi una buona volta come va a finire?". […]

Finché, sempre sul filo dell'irrazionale, un'altra novella doveva incantarlo, e soprattutto una misteriosa interiezione su cui la Betti sorvolava riassumendogli la trama, un ‘ehm’, ‘aem’ che Fellini seguitava a farle ripetere, perché gli piaceva moltissimo, "con l'acca, o senza l’acca?" chiedendole ansioso. Lei non se lo ricordava più, e dovette andare a riprendersi il libro per controllare se l'acca esisteva. C'era sì, era un ‘ahem’ cabalistico che risuonava cupamente all'orecchio del protagonista nel preciso momento in cui, nonostante il ponte franato, lui scommetteva la testa che sarebbe riuscito lo stesso a saltare di là. Sentiva questo misterioso commento (quello che decise Fellini a girare) e contemporaneamente gli compariva al fianco un compunto signore con la scriminatura centrale e una specie di grembiule di seta nera davanti, il diavolo in persona. […]