Acciuffare la vita nell’ultimo istante possibile, proprio quando stava per transitare di nuovo senza lasciare traccia, riattivarne le ragioni oltre le circostanze e resuscitarne lo spirito oltre ogni fallimento del passato, oltre ogni occasione mancata, oltre i vuoti e l’apatia. Non è importante capire come e dove sia iniziata la caduta, se qualcosa si è rotto a poco a poco lungo la strada o se al contrario è andato perduto in un luogo e in un momento precisi, ciò che davvero conta è rimettere insieme i pezzi, fare ordine tra le rovine e possedere finalmente l’attimo, ognuno fino al suo deterioramento e per tutto il tempo che rimane.

Un altro giro è un film molto più radicale delle sue premesse, forse addirittura delle sue stesse ambizioni: in quest’assurda operazione di ribellione alla prassi, dove la partita tra i significanti produce significati normalmente inaccettabili (l’idea è che il consumo quotidiano di alcol non sia sintomo ma soluzione, non sia la causa di un male ma addirittura la sua cura), insomma in questo folle sovvertimento del buonsenso c’è più del gusto per la provocazione, più del piacere per il rovesciamento ad ogni costo. Abile a convincerci della sua coerenza, fedele ai suoi principi nonostante la tentazione di doverli ripensare, capace di andare là dove La fine del mondo arrivava solo sotto copertura, nello specifico con gli abiti della commedia e della fantascienza, il miglior film internazionale degli ultimi Oscar dice esattamente quello che vuole dire senza sottintendere il contrario, in sostanza propone un’idea di mondo che non potrebbe essere più sbagliata di così ma che allo stesso tempo viene condivisa del tutto senza il peso e l’obbligo morale di dover essere in qualche modo rinegoziata.

In fondo è lo stadio ultimo del concetto di provocazione, quello più coraggioso da intraprendere e quello più pericoloso da maneggiare, perché mentre la saga de La notte del giudizio, per esempio, immagina l’inimmaginabile e ci inquieta proprio perché il suo universo sviluppa un certo grado di plausibilità contro cui tuttavia il film stesso si batte, Un altro giro chiaramente parteggia per l’assurdo, pensa e crede in ciò che nessuno penserebbe e crederebbe mai.

Prendendo ispirazione dallo studio di una psichiatra norvegese che postula un deficit del tasso alcolemico nel sangue pari al -0,5%, quattro amici di lunga data, tutti insegnanti nella stessa scuola, decidono di provare a colmare quella mancanza bevendo moderatamente tutti i giorni durante l’orario di lavoro, in modo tale da ripristinare la giusta percentuale di alcol nel metabolismo e, cosa più importante, per capire se ci sono conseguenze positive sulle loro relazioni professionali e sociali. La vita ha ridotto ciascuno di loro al relitto di se stesso, o alla figurina avvizzita di quella che forse un tempo era una personalità più gloriosa, sono uomini ormai privi di aspirazioni, privi di linguaggio e di entusiasmi, che guardano alle rispettive esistenze da lontano, consapevoli che se mai hanno avuto uno scopo, quello ha da tempo superato la data di scadenza; che sia davvero l’alcol l’aiuto in grado di rimetterli in questione e l’etilometro lo strumento capace di dare la misura della loro rivincita?

Thomas Vinterberg prende uno spunto da commedia purissima, nel segno del già citato film di Edgar Wright o anche di cose meno elaborate e più chiassose come i tre Una notte da leoni, e lo svuota della sua innocuità, delle sue possibilità di avere a che fare con gli aspetti più divertenti della vicenda e al contrario lo satura di dramma e di dolore. La motivazione, in quest’ottica, diventa fondamentale: Martin, il più depresso e fragile del gruppo, nauseato dalla sua stessa indifferenza e alla continua ricerca di smentite altrui in merito alla noia di cui si sente il risultato, scoppia a piangere di fronte agli amici che lo mettono davanti alla sua passività (“Che succede?” domanda uno, “Non molto” risponde lui in lacrime nel più bel dialogo dell’intero film). Senza alcun senso apparente, opposto a qualsiasi etica e dall’altra parte rispetto a qualunque principio socialmente ammissibile, l’esperimento genera di tutto: ascesa e declino, estasi e tormento, inibizione e dismisura, riscoperta e ricaduta, sempre con la volontà di moltiplicare le occasioni per perdere il controllo così da valutarne la portata di rischio.

In questa storia di ammissione dell’inammissibile, in questo gioco strampalato in cui il tabù diventa regola e in cui la morale è sbagliatissima, Un altro giro ammette il riscatto a prescindere da tutto, compreso il mezzo usato, e concede a chiunque la fattibilità della rinascita. Per Vinterberg la vita non può stagnare sulle cose fino a che non deperisce, ma anzi deve essere libera di sprigionarsi a costo di accettare il pericolo, perché essa è un formicolio di impeti e fervori, un'emorragia di impulsi e sensazioni, in definitiva è un traboccare di flussi ed energie il cui fine è scolare sulla realtà, come fa il vino dalla bottiglia al calice.