Il cinema di Asghar Farhadi è contraddistinto da un filo conduttore che di film in film si ripresenta aggiornandosi e rimodellandosi, ed è individuabile nella contraddittorietà della natura umana, afflitta da errori, incomprensioni e incomunicabilità. Sono scogli che appaiono reiterati e insuperabili, valicando i confini geografici come la stessa filmografia dell'autore iraniano, che tuttavia, dopo aver tentato senza grande successo l'avventura internazionale con lo spagnolo Tutti lo sanno, torna con Un eroe a girare nel proprio paese, dove ha ottenuto le maggiori fortune tramite film come About Elly, Una separazione e Il cliente.

Farhadi in Un eroe riallaccia le consuete tematiche che permeano i propri film, innescate sistematicamente da un evento che accende i conflitti. In questo caso si tratta della restituzione alla legittima proprietaria di una borsa piena d'oro, per opera di un padre separato, condannato a tre anni di prigione per un debito non pagato. Il gesto non passa inosservato e Rahim si trova improvvisamente al centro dell'attenzione dei media e della comunità. Ma ben presto sorgono dei dubbi sulla buona fede dell'uomo e sul suo comportamento.

A partire dal fattore scatenante, che sia la restituzione in Un eroe o la sparizione in About Elly, il racconto e l'osservazione farhadiani si muovono tra l'indagine e la retrospezione, in una narrazione centellinata che svela gradualmente le proprie traiettorie e deviazioni, nonostante un incessante riavvolgersi che sembra ineludibile. Pur trattandosi di un cinema prettamente di scrittura, i temi del racconto si riverberano nella messa in scena, contraddistinta da omissioni che portano lo spettatore a porsi dei dubbi su quanto visto e sulla natura stessa delle immagini.

Il protagonista del film, Rahim, viene prima elevato a eroe per poi subire il percorso inverso, accusato di aver mentito e costretto a rievocare, giustificare e riplasmare le proprie azioni. Reindirizzamenti mossi dal rapporto tra verità e menzogna, ma soprattutto dalle verità celate non tanto a causa di cattive intenzioni, quanto per una pressione sociale che opprime i personaggi, e che conducono a conflitti morali, verbali e infine allo scontro fisico. C'è qualcosa nel racconto di Rahim che appare ingannevole ed è proprio la tendenza a occultare e mascherare che alimenta quella incomunicabilità di fondo che deteriora i rapporti. "Non riesco a comprendere quello che dice", ammette la responsabile dell'associazione caritatevole che ha raccolto i soldi destinati ad aiutare il protagonista a ripagare il debito.

Ma oltre alla riflessione morale, Farhadi con Un eroe ragiona sull'eroismo e sul suo significato. Su come la società costruisca eroi in brevissimo tempo, in modo sensazionalistico, per poi demolirli e condannarli quando i meccanismi dei social e della comunità si mettono in moto. Una fugacità dell'eroismo che nella contemporaneità continua a mutare, a basarsi su fondamenti nuovi e sulla costruzione dell'immagine, da cui Rahim nel finale tenta di distaccarsi.

Farhadi getta lo sguardo sulla società iraniana, sulle sue costrizioni, la religiosità e le ipocrisie, che spingono il protagonista a tenere segreta la relazione con la compagna che non può ancora sposare e che lo costringono a richiedere il permesso del creditore per poter trovare un lavoro con il quale pagare il debito. Ma le sue tematiche valicano i limiti geografici e diventano universali nel rilevare la necessità di dosare le parole, le conseguenze delle mezze verità e soprattutto le incomprensioni che regolano le relazioni sociali.

Non è un caso, quindi, che Farhadi omaggi esplicitamente il cinema italiano, riecheggiando Antonioni e l'incomunicabilità come cardine (il quarto film del regista iraniano, About Elly, guarda a L’avventura, e il tema della sparizione torna anche in Un eroe), così come il De Sica di Ladri di biciclette, con le peripezie di un padre che tenta di recuperare il proprio onore. Del resto, ciò per cui si batte Rahim è un riscatto morale per il quale si trova a muoversi contro una corrente che lo risucchia, vanificandone le azioni. La vera prigione si rivela per lui quella all'esterno, dove mentire diventa necessario e dove quelle stesse menzogne risultano fatali.