Nella sezione dedicata ai film prodotti tra gli ultimi anni '20 e i primi anni '30 dalla Fox Corporation ha spiccato per forza espressiva il muto Street Angel (1928) di Frank Borzage, visionario e suggestivo melodramma sulla redenzione dagli afflatti spirituali e dagli echi gotici ed espressionisti.  Ambientato in una Napoli più romantica, nel senso culturale e letterario del termine, che folcloristica, nebbiosa e talvolta cupa, claustrofobica nella presenza costante di vicoli, arcate e cortili poco ariosi, racconta la storia d'amore tra Angela (Janet Gaynor, la quale vinse il primo Premio Oscar per la migliore attrice), una povera ragazza dei bassifondi, e il pittore di strada Gino (Charles Farrell). Il loro amore viene interrotto dall'arresto della ragazza, la quale paga così la disperazione che ad inizio film la portava a cercare di prostituirsi per poter pagare le medicine per la madre malata, e trova, per così dire, il suo climax nella lunga sequenza della cena.

È un climax duplice e complementare; di felicità per lui, inconsapevole del destino dell'amata, e di tristezza per lei, che con quella cena ha voluto dare un arrivederci sereno all'amato prima di sparire. I sentimenti e gli stati d'animo opposti, gli sguardi che parlano e il pudore registico fanno anche sì che questa sequenza, allungata nei tempi rispetto a momenti altrettanto decisivi della vicenda, sia esemplare della forza emotiva, tenera e allo stesso tempo disperata, dolce e contemporaneamente tetra, che il film ancora oggi trasmette, riuscendo ancora a commuovere. 

Street Angel pare avere una concezione dei sentimenti e della felicità, per così dire, fatalista a livello strettamente terreno, dove pare inevitabile scontare la propria condizione di partenza più che i propri errori, e che trova il proprio compimento ad un livello più spirituale e metafisico. Non anticipiamo, per evitare i lamenti delle vestali dello spoiler, qual è la soluzione narrativa che permette di evitare la tragedia finale aprendo le porte al lieto fine e alla definitiva redenzione, dei singoli e della coppia; basta accennare che c'entra un quadro dalla tematica religiosa che ha avuto un ruolo decisivo nella storia del rapporto.

È l'intero film però a dialogare in qualche modo con una dimensione diversa da quella strettamente contingente agli eventi; come a voler dire, un po' banalmente, che è necessario trovare un appiglio spirituale – non necessariamente religioso, nonostante non manchino simboli religiosi disseminati in momenti e dettagli, come le croci che nella prigione sovrastano le condannate - e interiore per resistere agli ostacoli disseminati dall'esistenza e dal contesto. La stessa centralità della redenzione e il fatto che Angela sia continuamente disposta, anche consapevolmente, al sacrificio e alla rinuncia possono essere esemplari in questo senso. Non è certamente un'opera esplicitamente religiosa e "cristiana", ma indubbiamente, e chissà quanto legati all'ambientazione esotica italiana, non mancano nella sua essenza più profonda afflati decisivi di questo tipo.

Inoltre, a livello stilistico, il film di Borzage, dialogando con le suggestioni dell'espressionismo e del racconto gotico, talvolta assomiglia ad un film di fantasmi, trovando così un altro contatto con una dimensione diversa da quella contingente e concreta. Lo è per il gioco di luci e soprattutto di ombre, per le ombre che diventano gigantesche e sottolineano la disperazione – la prima fuga di Angela – e i pericoli – la silhouette della carceriera -, per i numerosi e costanti campi lunghi e lunghissimi – i primi piani sono ridotti al minimo - che rendono minuscoli i personaggi rispetto al contesto e per la Napoli cupa e nebbiosa. L'angelo della strada ribadisce così la sua derivazione romantica, ancora nel senso culturale e letterario del termine, ricordando un racconto della scapigliatura e apparendo estremamente suggestivo e affascinante a livello puramente estetico; la lunga fuga iniziale tra i vicoli e le arcate di una Napoli ben poco ariosa e colorata e lo splendido finale tra le nebbie del porto sono forse le sequenze più seducenti da questo punto di vista. Del resto, sparizioni, apparizioni, smarrimenti e ritrovamenti sono le tappe di quest'opera tutt'altro che priva di magniloquenza e di una certa visionarietà, elegante, avvolgente ed emozionante senza calcare la mano sui sentimentalismi e sulle scorciatoie. Un'opera che, inoltre, è figlia dell'enorme successo di Settimo cielo, realizzato da Borzage l'anno precedente e con protagonista la stessa coppia di divi e che è stata osteggiata dal regime fascista contrariato dalla rappresentazione dei carabinieri.

Un'ultima considerazione, che ci permette di inserire il film nel panorama dell'offerta della sezione dedicata alla Fox Corporation facendo un paragone forse un po' azzardato, è la centralità della figura femminile, in Street angel da un lato maggiormente vittima del contesto e delle condizioni di partenza, e dall'altro, ben più del maschio, consapevole della necessità del sacrificio e della redenzione apparendo, quindi, in fin dei conti anche come la figura davvero forte e attiva. 

Questo a differenza delle amazzoni protagoniste di un altro film presentato nella retrospettiva; The Warrior's Husband (1933) di Walter Lang, commedia che immagina il regno del Ponto, dove le amazzoni, guidate dalla Regina Antiope, dominano e dove le donne si comportano come gli uomini e viceversa, almeno fino all'arrivo dei virili soldati greci. Un ribaltamento di ruoli e stereotipi che però viene del tutto negato dal finale, dove il ritorno alla norma è troppo netto e troppo poco ambiguo ( anzi, non lo è per nulla ) per dare al film quella carica irriverente e problematica sulle questione di genere che, all'inizio e grazie ad una discreta partenza, era lecito aspettarsi. È una commedia non particolarmentre spassosa, pur non priva di facce giuste e di momenti divertenti, in particolare grazie ai dettagli maliziosi e ai doppi sensi pre-reale attuazione del codice Hayes – si veda il saluto delle soldatesse col dito medio alzato. Diventa però, rivista oggi, dimenticabile un po' per il "tocco pesante" di Lang, e soprattutto perché non segue fino in fondo la follia della nascente screwball. Così le stravaganti eroine di quel sottogenere che allora muoveva i primi passi, capaci di fare il bello e il cattivo tempo e di controllare l'uomo come una marionetta, pur nella semplicità delle vicende sentimentali e del gioco tra i sessi, diventano oggi testimoni di nuove e ancora sotteranee rivendicazioni e concezione della donna ben più delle regine e delle combattenti di The Warrior's Husband.