Nel 1939, a Sutton Hoo, nel Suffolk, avvenne quella che è considerata una delle più importanti scoperte archeologiche della storia inglese: il ritrovamento, dentro a un tumulo in prossimità di un fiume, di una stupefacente nave funeraria degli Anglosassoni dell'Alto Medioevo, contenente numerosi manufatti e suppellettili, vera manna dal cielo per comprendere quella che sino a tal momento era stata considerata una civiltà oscura.

La nave sepolta è una rievocazione di quegli straordinari eventi, diretta da Simon Stone con molte libertà e piglio personale, a partire dal romanzo storico The Dig (stesso titolo del film, in originale) di John Preston, che narrava fra gli altri le gesta della sua stessa zia Peggy Piggott, parte del gruppo di archeologi artefici del ritrovamento. Stone, australiano nato in Svizzera, regista teatrale di notevole arguzia nel ripensare i classici, porta sullo schermo – come già nel suo debutto cinematografico The Daughter,  rielaborazione de L'anatra selvatica di Henrik Ibsen – il suo expertise nell'approfondimento delle relazioni e delle dinamiche di piccoli gruppi di personaggi interlacciati.

Guardingo sul rischio di risultare lezioso, lavorando su un'epoca e un'ambientazione che spesso si sono prestate a venir rievocate come una belle époque della storia inglese, prima della decolonizzazione e dei riequilibri mondiali del Secondo Dopoguerra, Stone abiura le laccature e le stucchevolezze di tanti analoghi film d'epoca: con fare inusuale, utilizza camera a mano, jump-cut, asincronismi suono-immagine, primi piani ravvicinati e lievi deformazioni ottiche per filmare non un sereno scenario di campagna inglese da cartolina, ma un luogo eterno e malinconico su cui si stagliano alcune effimere e struggenti passioni umane.

Nel raccontare di Edith Pretty (Carey Mulligan), delicata ma assertiva proprietaria di quelle terre, convinta che là sotto qualcosa si dovesse nascondere, e di Basil Brown (Ralph Fiennes), archeologo e astronomo autodidatta, sopravanzato nei meriti dalla storia riscritta per lungo tempo a uso di più titolati colleghi, Stone inserisce sottotraccia argomenti come la disparità fra le classi sociali e i sessi, la tensione fra cultura per eletti e divulgativa, nonché il passaggio del pensiero dall'intuizione, alla conferma scientifica, all'istituzionalizzazione.

La nave sepolta è però più di ogni altra cosa una riflessione sulla mortalità. In un senso costante di incontrollabilità, fra chi sta morendo e chi forse morirà in guerra di lì a poco, il confine tra vivi e defunti si assottiglia. Fra ricorsività delle vicende umane e riattualizzazione del passato (terrificante la sepoltura da vivi nel terreno, struggente l'ultima notte passata a dormire dentro la nave) non è più chiaro se l'archeologia parli degli uni o degli altri. A domanda su cosa resterebbe dopo mille anni di noi, la risposta non può che esulare dal dato biologico e appuntarsi sui manufatti, i prodotti dell'ingegno e della volontà. Le fotografie vengono scattate per tentare di fissare in eterno il presente. Gli studiosi restano in un dialogo irriducibile fra l'eterno e il finito delle loro, a volte meschine a volte sublimi, vicende personali.