Quando il cinema muto incontra studiosi di tutto il mondo e un pubblico appassionato di un’arte che non c’è più nascono le Giornate di Pordenone, dal 1982 luogo di ritrovo di storici, ricercatori ed esperti che ogni anno offrono il loro contributo per la riscoperta in sala di tesori che altrimenti non sarebbe possibile fruire in nessun altro modo. I primi dieci giorni di ottobre del 2020 vedono per le Giornate del Cinema Muto un cambiamento particolare: una dieci giorni di film, masterclass e conferenze trasmesse online. I film iniziano, la magia si compie. L’offerta delle Giornate di quest’anno non è cospicua (viene proiettato un film al giorno), ma questo naturalmente non significa che non sia all’altezza.

È bello trovare nomi familiari come Cecil B. De Mille, Georg Wilhelm Pabst, Stanlio e Ollio, Mary Pickford, Colin Campbell. Ma è altrettanto interessante scoprirne di meno noti: i nostri Carlo Campogalliani e Letizia Quaranta, Dimitrios Gaziades, Holger-Madsen, Luo Mingyou, Zhu Shilin. Qui, generi, date, coordinate geografiche, stili e racconti si mescolano in sequenza: non c’è un vero e proprio filo conduttore, non vi sono aree tematiche comuni; semmai è una grande festa, una pienezza del cinema muto che quasi vuole mostrarsi in carrellata e testimoniare la propria esistenza nelle diversità.

Ad ogni modo, questa pienezza e questa “festa” del cinema muto di tutto il mondo acquistano un nuovo senso su un nuovo schermo, il piccolo, vuoi lo smartphone, vuoi il computer, la smart-tv, il proiettore domestico, il tablet. Se un tempo il cinema del meraviglioso era da consacrarsi nella sala cinematografica su uno schermo di notevoli dimensioni in presenza di un pubblico, se oggi i film da riscoprire vengono presentati in un tempo circoscritto comunque in sala, ai festival, nelle rassegne dedicate, ora, in un presente coevo, il cinema muto raggiunge uno status quasi alla pari con la fruizione dell’offerta sulle piattaforme digitali in streaming, fruizione normalissima a cui si è certamente abituati.

Però fa ancora strano vedere Mary Pickford mentre si consuma un basto a base di noodles istantanei affogati nella salsa di soia sdraiati sul divano, è bizzarro che intorno alla cornice del piccolo schermo gironzoli il gatto, ci sia un portapenne, dei DVD, libri e tutta l’oggettistica da casa-ufficio mentre si cerca di decifrare una didascalia in tedesco perché ci si è dimenticati di attivare i sottotitoli nella propria lingua. Siamo quasi alla pari con le piattaforme over-the-top, ma manca qualcosa.

Manca qualcosa e quel qualcosa è il buio del cinema. Manca forse anche l’immersione totale nella musica di accompagnamento, manca la pellicola che si inceppa e allora bisogna aspettare che il proiezionista rimedi in fretta e furia, i colpi di tosse, lo spettatore che non ce la fa più e si assopisce, quello che si alza e se ne va, il rumore in background del proiettore, la sensazione di provare le stesse cose di uno spettatore di cento anni prima. Ci si abituerà a queste mancanze? Si continuerà a proporre cinema muto online? Ai posteri l’ardua sentenza.