Parlare di Paolo Villaggio seguendo le sue autobiografie immaginarie, inverosimili e realistiche nella stessa misura, mi sembra il modo migliore per ricordare un uomo di spettacolo che ha saputo, attraverso la maschera del ragionier Ugo Fantozzi e non solo, creare un universo comico politicamente scorretto e sopra le righe ma profondamente umano.

Paolo Villaggio nasce a Genova il 30 dicembre del 1932 da genitori ignoti, “allevato in un brefotrofio dimostrò fin da piccolo delle curiose tendenze: si vestiva da bambina, voleva far pipì da seduto, giocava con le bambole, lavorava all’uncinetto e baciava per gioco sulla bocca un certo Mario Tracconi suo compagno di banco, biondo, più alto di lui, con gli occhi azzurri che assomigliava a Helmut Berger”. Il fratello gemello Piero, di tre anni più giovane, “dato che per vanità si abbassa l’età come una zitella irlandese”, è stato professore di matematica alla Scuola Normale “(si fa per dire!)” di Pisa.

Se avesse potuto scegliere, Villaggio, avrebbe desiderato nascere a New York “in Park Avenue nel 1955 da genitori bianchi, anglosassoni, protestanti, bellissimi, ricchissimi e di avere il genio comico di Woody Allen e il successo colle donne di Robert Redford”. Essere alto 1,84, questo sì che lo avrebbe reso felice, “invece forse a causa di un ignobile sorteggione in alte sfere è un tombolone di 81 kg, alto 1,69. Ha le braccia corte ed è fisicamente quasi ripugnante. Pensa che questa sua condizione sia una insopportabile ingiustizia sociale e si considera ovviamente un perseguitato politico. Vuole organizzare a Lourdes una manifestazione non violenta di fronte alla Basilica con l’appoggio del partito radicale”. Se questo non dovesse apportare delle migliorie al suo aspetto invalidante è deciso “a passare a sistemi di lotta armata: “gambizzare” Alain Delon e Fabio Testi”.

In un’altra autobiografia surreale dice di essere un figlio snob di padre ricchissimo “ed è per questo che è a sinistra del partito comunista cinese; a Roma “ha fondato un gruppo di nobili una frangia politica di estrema sinistra molto “in” che si chiama POTEVE OPEVAIO”. Recentemente è stato avvistato di notte, vestito da soubrette, sul “Lungotevere delle Navi dove è noto fra camionisti e marinai come La Raffaella Carrà. Ora vive con un marinaio di colore di cui è gelosissimo”. Nei primi anni Sessanta Paolo Villaggio lavora come animatore a bordo delle navi della Costa Crociere, “suoi compagni di viaggio: Fabrizio De André, un poeta genovese che suonava la chitarra in prima classe ed è diventato un famoso chansonnier italiano; e un pianista milanese molto bravo, Silvio Berlusconi, che ha fatto anche lui una gran carriera”. Con l’amico Fabrizio scrive i testi di alcune canzoni, la più nota è Carlo Martello.

Lo spalancarsi delle porte della televisione, favorito dalla somiglianza con il cantante Mal dei Primitives, e l’improvvisa notorietà sul piccolo schermo lo portano a scrivere dei libri e a realizzare i film della serie Fantozzi, “però, per essere considerato un “grande”, ha dovuto fare anche dei film con Fellini, Monicelli, Olmi e Lina Wertmüller”. Villaggio si definisce “cattivo, molto invidioso, timido e arrogante, simula bontà solo per vigliaccheria, molto furbo, calcolatore e di animo volgare. (…) Tutto ciò gli provoca gravi ansie che placa mangiando tutte le notti cibi adulterati nudo in piedi di fronte al frigorifero aperto”.

Nonostante queste ignobili bassezze ha costruito profondi legami con colleghi e amici di vecchia data, primo fra tutti Fabrizio De André, “molto intelligente, esibizionista e vanitoso come una ballerina turca”. Con Vittorio Gassman, forse l’uomo “più leale e divertente” che abbia conosciuto e Ugo Tognazzi “col suo straordinario spessore umano”, racconta di aver fatto una crociera di quarantacinque giorni ricordata soprattutto per la disastrosa performance di Tognazzi: i suoi famosi fusilli preparati per i passeggeri e l’intero equipaggio, ottocento persone affamate e inorridite di fronte a “un enorme magma di pasta giallognola fredda”.

La sua antipatia e la predisposizione verso la menzogna sono ovviate da “un’intelligenza clamorosa”. Dei giornali che compra la sua attenzione viene catturata solo dalla pagina sportiva, questo non gli provoca difficoltà nell’intavolare discorsi nei quali se la cava in modo brillante spostando furbescamente le discussioni su argomenti di cui sa di possedere una solida preparazione: “il passaggio dal socialismo al comunismo, nuovi esempi di cinema underground americano, il secolo di Luigi XIV, magia e ipnotismo, sud-est asiatico”. L’interesse verso l’astrologia non lo ha ancora conquistato, però una sera, da ubriaco, dice di aver parlato tutto il tempo di Godard.

Molti si chiedono come mai indossi in tutte le stagioni dei “guantini senza diti come i ciclisti”, Villaggio senza scomporsi spiega che quell’insolito accessorio serve a coprire le sue stimmate così da non essere scambiato per Padre Pio. Solo con una vecchia domestica si lamenta per quell’inconveniente: «Ti rendi conto, Franco, che jella che c’ho io? Con questi buchi non posso bere l’acqua fresca nel cavo delle mani alle fontane»”. Franco, la domestica, è il nome di battesimo di un vecchio travestito di Crotone dalla dubbia fama.

“Negli ultimi tempi è un po’ rincoglionito. Non ha più alcun interesse per i discorsi degli altri e non legge più un libro da un anno. È un arrivista (…) Purtroppo questa biografia è inventata. Il disgraziato è nato il 31/12/1932”.

(Fonti: Fantozzi, 1971, Il secondo tragico libro di Fantozzi, 1974, Fantozzi contro tutti, 1979, Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda, 2002, Gli fantasmi, 2006).