Nessuna cicatrice visibile. Capelli castani, con qualche traccia di grigio. Occhi marroni. Un metro e ottanta per ottantacinque chili circa. Nome: Philip Marlowe. Professione: detective privato”.
L’identikit - che in realtà ci dice assai poco di Marlowe e forse volutamente - è quello che Raymond Chandler tratteggia nel suo Il lungo addio, sesto romanzo, uscito nel 1953, con protagonista il famoso investigatore privato. Una descrizione vaga ma preziosa, perché l’io narrante di Chandler è lo stesso Marlowe che racconta le vicende in prima persona e non parla quasi mai di se stesso.

Le poche informazioni che abbiamo su di lui ci arrivano quindi di riflesso, come in questo caso in cui viene arrestato e schedato dalla polizia. E poco sappiamo anche della sua età, che pare sfuggire alle regole della natura umana per avvicinarsi piuttosto a quelle dell’immortalità. In una lettera del ‘51 Chandler sostiene che il suo personaggio sia nato a Santa Rosa trentotto anni prima, e quindi nel ‘13, ma nelle pagine di “Il grande sonno” ambientato nel ‘36 ha già trentatré anni e in quelle di “Il lungo addio” ambientato nel ‘50 ne ha quarantadue.

Letterariamente poi Marlowe è sopravvissuto al suo autore ed è passato di penna in penna (tra cui quelle di Osvaldo Soriano, Robert B.Parker, John Banville) fino ad arrivare all’apparizione più recente nel romanzo “Only to sleep” di Lawrence Osborne, edito nel 2018: qui l’investigatore ha addirittura settantadue anni ed è in pensione.

Gli indizi di Chandler sono fisicità media, discreto fascino, abbigliamento sobrio ma elegante ed età indefinita, ma se chiudiamo gli occhi probabilmente immaginiamo Marlowe avvolto in un trench leggermente sgualcito, con un fedora sulle ventitré, mentre mastica un sorriso insieme a una cicca all’angolo della bocca. Vediamo cioè il Bogart de Il grande sonno. Questo perché il cinema ha spesso tentato, di volta in volta, di dare identità a Marlowe contribuendo a creare una specie di multiverso marlowiano che prende corpo, tempo e spazio nelle varie trasposizioni che si sono susseguite dal ‘44 ad oggi.

Il primo Marlowe sul grande schermo è quello impersonato da Dick Powell, che dai ruoli brillanti nelle produzioni musicali degli anni ’30 passa nel ‘44 al bel noir dal taglio impressionista di Edward Dmytryk, L’ombra del passato. Qui Powell duetta con la dark lady Claire Trevor, restituendo alla trasposizione di “Addio, mia amata” il lato più forte e disincantato di Marlowe.

Segue nel ‘46 Il grande sonno di Howard Hawks, tratto dal primo e omonimo romanzo di Chandler del ’39 con l’indimenticabile interpretazione di Humphrey Bogart che ci regala uno dei Marlowe più iconici di sempre: ironico e navigato, compassionevole e duro quando occorre, disilluso ma professionalmente integerrimo. Tra i meriti nella costruzione del personaggio, oltre al carisma di Bogart, alla magistrale regia di Hawks e alla sapiente sceneggiatura di William Faulkner occorre ricordare anche l’evidente complicità sul set con Lauren Bacall (sua compagna anche nella vita) che aiutò a rendere quella tensione erotica che scorre più o meno sotterranea nelle pagine di Chandler.

Nel ’47 escono ben due pellicole dedicate a Marlowe: la prima è La moneta insanguinata di John Brahm tratto dal romanzo “Finestra sul vuoto” con un George Montgomery non all’altezza del suo personaggio, che sfoggia addirittura baffi e pipa. Miglior esiti e fortuna ebbe invece Una donna nel lago di e con Robert Montgomery, tratto dal romanzo “La signora nel lago”, che ci mostra la vicenda narrata completamente in soggettiva da un Marlowe che si identifica con l’obiettivo e per questo appare fisicamente assai poco: all’inizio, in due veloci intermezzi e alla fine.

Dalla fine degli anni ’40 bisogna poi fare un salto di dieci anni per ritrovare Philip Marlowe, che dal grande passa al piccolo schermo nell’omonima serie tv di ventisei episodi, interpretata dall’attore Philip Carey e andata in onda dal 1959 al 1960.

Altri dieci anni dopo, nel 1969, Marlowe ritorna al cinema con L'investigatore Marlowe di Paul Bogart con James Garner, tratto dal romanzo “La sorellina”. Qui Garner veste i panni di un Marlowe che tutto sommato rimane abbastanza fedele a quello delle atmosfere chandleriane degli anni ’40 e ’50 ma che contemporaneamente varca la soglia dell’ambientazione contemporanea, fra droga, hippies e un’incursione di Bruce Lee nei panni di Wong, campione cinese di kung-fu.

La consacrazione di un Marlowe veramente moderno - che è al tempo stesso omaggio e nemesi del suo archetipo - arriva però solo nel ‘73 con Il lungo addio di Robert Altman di cui quest’anno ricorre il 50° anniversario dall’uscita in sala. Esattamente vent'anni dopo la pubblicazione dell'omonimo romanzo di Chandler, il giovane Elliot Gould interpreta un Marlowe che finalmente gareggia a carisma con quello di Bogart.

Qui siamo davanti a un detective su cui il caos chandleriano ha preso il sopravvento: si sveglia spaesato da un grande sonno, non riesce a dar da mangiare al proprio gatto, nemmeno imbrogliandolo, difende un amico che forse lo inganna, subisce il fascino della solita donna sbagliata, assiste inerme al suicidio di uno scrittore (che è un po’ anche Chandler stesso) e perde definitivamente la propria identità. Eppure mantiene la sua ironia, il suo fiuto giusto sui casi sbagliati, una coriacea disillusione sul mondo e le persone che lo affollano e alla fine rivendica persino una sua struggente coerenza. Altman e Gould frantumano insomma l’icona marlowiana - e con lei l’intero genere noir: Chinatown di Polansky sarebbe uscito di lì a un anno di distanza - ma al tempo stesso la rifondano e le danno nuova vita.

Nel 1975 Marlowe sperimenta la maturità anagrafica con l’interpretazione di un Robert Mitchum quasi sessantenne in Il poliziotto privato per la regia di Dick Richards. Tratto nuovamente da “Addio, mia amata” il film pare una sorta di remake di L’ombra del passato ma - una volta superato l’impatto con un detective più âgée del solito e un’ambientazione non del tutto riuscita - lo sguardo appesantito e sornione di Mitchum e la sua smorfia dolente regalano a Marlowe una nuova sfumatura drammatica: se Gould non si riconosceva nei panni di se stesso e di un epoca svanita nel nulla Mitchum si sente addosso tutta la pesantezza di un mondo cinematografico e di una carriera ormai al tramonto. Nel 1978 Michael Winner ripropone il grande attore nel suo Marlowe indaga ma senza raggiungere i risultati del film precedente.

Se si esclude la parentesi degli anni ’80, che dedica a Marlowe la parodia Il mistero del cadavere scomparso di Carl Reiner con Steve Martin e la serie televisiva Philip Marlowe, detective privato, si passa direttamente alla soglia del nuovo secolo con il film tv Marlowe - Omicidio a Poodle Springs di Bob Rafelson del ’98 con un discreto James Caan.

Dalla metà degli anni ’70 Marlowe pareva quindi sparito dal grande schermo, anche se spesso presente su quello piccolo, invece quest’ anno il regista irlandese e premio Oscar Neil Jordan ha firmato il recentissimo Marlowe interpretato da Liam Neeson e non ancora uscito in Italia.

Il detective nato dal genio letterario di Chandler continua quindi - attraverso libri, film e tv - a popolare il nostro immaginario, incarnandosi di volta in volta in antieroi dalle diverse sfaccettature, ognuno intriso di passato ma anche di spirito del proprio tempo. E se dopo quasi un secolo non abbiamo ancora chiuso i conti con Marlowe forse vuol dire che le pagine di Chandler, come ogni buon classico, non hanno ancora finito di parlarci.