Girato per la televisione tedesca a metà degli anni 70 in una pausa auto-imposta della lavorazione di Nessuna festa per la morte del cane di Satana, Voglio solo che voi mi amiate (1976) è una parabola laica e psicoanalitica ancora molto attuale che sovverte l’etica alla base della società dei consumi e le istituzioni che la legittimano, a partire dalla famiglia tradizionale e dal patriarcato. Ispirandosi ad una storia vera documentata in un libro di interviste a condannati all’ergastolo, Rainer Werner Fassbinder mette in scena il destino amaro di un figliol prodigo rifiutato, con l’unica colpa di aver assimilato il linguaggio del consumo e del denaro per esprimere e per ricevere prima il proprio affetto di figlio e successivamente il proprio amore di marito.

Peter, interpretato da un efficace Vitus Zaplichal, è stato cresciuto dai genitori con una fredda etica del lavoro all’interno di una famiglia di provincia dove le aspirazioni borghesi contano più dei rapporti umani anche tra gli stessi genitori, una madre fredda e un padre assente. Quando Peter incontra e sposa Erika, i genitori, a cui lui ha appena costruito una casa, gli fanno freddamente capire che deve mettersi alla prova. La coppia si trasferisce quindi a Monaco, dove Peter inizia a lavorare come muratore. Apprezzato dai suoi superiori, Peter scivola tuttavia progressivamente verso una cupa disperazione in quanto l’unico modo che conosce per esprimere i propri sentimenti verso la moglie è l’acquisto di beni materiali, che, in quanto maschio, deve essere il solo a procurare, e le troppe rate finiscono per strozzarlo. Incapace di chiedere aiuto al padre, Peter lo sostituisce con il proprietario di un’osteria che gli assomiglia, uno dei tanti elementi stranianti del film, arrivando fino alle estreme conseguenze di uccidere lui invece che il genitore.

La struttura narrativa del film agisce come un vero e proprio ritorno del represso, partendo dalla prigione dove Peter sta scontando la sua detenzione per omicidio e procedendo per salti cronologici non lineari, indietro e in avanti, dall’infanzia del protagonista fino ad episodi della vita adulta. In questo modo, l’atto dell’omicidio finale è continuamente anticipato, messo in scena e, in qualche modo, desiderato così come viene continuamente ribadita la prigionia del protagonista come caratteristica predominante del suo destino.

Voglio solo che voi mi amiate mostra la trasformazione degli affetti prodotta dal mercato capitalista, in cui i sentimenti diventano merce e le emozioni possono essere espresse solo attraverso il linguaggio degli affari e dei beni di consumo. Il film smonta il mito della mobilità sociale e dell’etica weberiana del capitalismo: Peter tenta di interpretare l’uomo che si fa da solo, artefice della propria ricchezza attraverso la dedizione al lavoro; tuttavia, il finale non è la teleologia dell’ascensione sociale ma l’esatto contrario, confermando la sentenza di carcere a vita che Peter sente fin dalla sua infanzia.

Se, come sostiene Fredric Jameson in Firme del visibile, ogni prodotto della cultura di massa esprime anche una carica utopica, oltre agli aspetti di manipolazione sociale, in Voglio solo che voi mi amiate questa carica è simbolizzata dall’uso ricorrente dei mazzi di fiori che tornano insistentemente durante tutto il film. I fiori riportano, contemporaneamente, sia alla punizione primordiale che i genitori infliggono a Peter per averne raccolto un mazzo dal giardino dei vicini sia al desiderio di amore e di emancipazione, oltre le convenzioni sociali, che ha portato Peter a compiere quella prima trasgressione. Un’aspirazione ad un’altra condizione di vita che il protagonista non riuscirà a realizzare per costrizioni sociali e psicologiche.