Su uno sfondo nero un giovane Ludwig Wittgenstein vestito da centurione romano presenta la sua nobile famiglia. Fin dalla prima scena, piuttosto che nella vita del filosofo austriaco, entriamo nei meandri dell'immaginazione di un artista, Derek Jarman. Difatti, lo sfondo nero, oltre a essere una brechtiana tecnica di distanziamento, rimanda ad alcune scene del suo Caravaggio, mentre le vesti romane riportano all'esordio cinematografico Sebastiane.

Terza biografia reinventata di un eroe queer dopo l'Edoardo II e lo stesso Caravaggio, il Wittgenstein di Jarman prende poco seriamente la sua vita ma molto la sua filosofia. Cogliendo lo spirito artistico del filosofo, la sua tensione verso la perfezione, Jarman indaga il rapporto tra vita e pensiero di un uomo che ha speso tutta la sua esistenza a dubitare dell'identità tra linguaggio e cose, nonché della propria identità.

Al tempo stesso si può leggere il film come una meditazione sull'identità del cinema biografico. Lo sfondo nero rende evidente, wittgensteinianamente, i limiti del set, che sono i limiti della propria scrittura. Rimarcare una firma autoriale non implica che non possa darsi una scrittura biografica, anzi il sovvertimento wittgensteiniano della forma biografica spinge i limiti del proprio mondo, appropriandosene cerca di trasformarlo.

Sviluppato a partire da un soggetto del filosofo e critico letterario inglese Terry Eagleton, il film è prodotto in un periodo in cui Jarman deve affrontare le drammatiche conseguenze dell'AIDS. Se il successivo Blue e il libro Chroma utilizzano il Wittgenstein delle Osservazioni sui colori per pensare la questione della percezione in seguito alla sopraggiunta cecità, il film su Wittgenstein riprende la raccolta Della certezza incentrato sul problema della conoscenza.

Ancora un'invenzione di Jarman interviene per visualizzare il riferimento filosofico: Mr. Green, un marziano, tratto da alcune proposizioni di Wittgenstein che utilizzavano l'espediente dell'incontro con un abitante di Marte per dimostrare la relatività della conoscenza umana. Se Wittgenstein necessita di un marziano per infrangere le certezze dei supposti metafisici del pensiero, Jarman trasforma in marziano il proprio sguardo, perché solo uno sguardo marziano può spostare i limiti del mondo, può immaginare il mondo.

In una sala cinematografica, Ludwig prende per la prima volta la mano del suo amato Johnny. Ma poco dopo lo troviamo imprigionato in una gabbia denunciare un mondo che non riconosce la sua omosessualità. Se non vi è nulla di misterioso o privato, perché tutto è esposto al mondo, com'è possibile che la sua forma-di-vita omosessuale non sia riconosciuta? Perché il mondo in cui vive s'atteggia come se la vita fosse già decisa, la sessualità una cosa certa?

Conoscere i limiti del mondo vuole dire riconoscere quelle singolarità che lavorano su questi limiti creduti naturali. Immaginare un mondo per Jarman vuole dire riconoscere il lavoro di quella differenza irriducibile che è il soggetto queer. Una differenza che proprio in quanto sa che il privato è già pubblico, esposto agli altri, chiede un riconoscimento universale della propria forma-di-vita.

Se grazie a Jarman riscopriamo un Wittgenstein teorico della differenza, grazie alla riproposizione del film possiamo invece riconoscere Jarman come un punto di riferimento fondamentale nelle lotte civili del nostro tempo.