Siamo in un teatro di boulevard parigino, di fronte a un'ordinaria commedia di corna con tre personaggi in cerca di un autore decente, quando nella sala semideserta si alza un tale Yannick. Interrompendo lo spettacolo, protesta ad alta voce per la scarsa qualità dell'intrattenimento, che gli è costato un lungo viaggio dalle periferie e la necessità di prendere ferie dal suo lavoro notturno. Fatto uscire dalla sala dopo lunga discussione con gli attori, senza che nessun altro intervenga in qualsiasi modo, vi rientra poi poco dopo con intenzioni più bellicose, quando si accorge che dentro la sala stanno ancora parlando male di lui.
Sulla carta parrebbe un esordio alla Un giorno di ordinaria follia, se non ci trovassimo nelle mani di Quentin Dupieux, regista francese conosciuto anche in ambito musicale come Mr. Oizo. Con Yannick – La rivincita dello spettatore, Dupieux ci porta in un altro dei suoi mondi surreali nei quali le routinarie norme collettive non sono affatto date, e gli oltremodo bizzarri protagonisti si interfacciano a comprimari che non scorgono alcuna particolare anomalia. A restare spiazzati siamo solo noi spettatori, quasi fossimo i soggetti di un gigantesco esperimento goffmaniano su larga scala, volto a dimostrare l'arbitrarietà delle regole sociali.
Più che a graffiare il contemporaneo alla Luis Buñuel, Dupieux sembra interessato a burlarsi in maniera leggiadra dei suoi riti di funzionamento, mettendo in luce, in una sorta di dimostrazione per assurdo, il nostro assoluto spaesamento quando questi vengono aboliti. I personaggi principali sono poi sempre perpetuamente mossi da obiettivi strampalati o irrilevanti, lasciandoci però alla fine il dubbio che i nostri possano in fondo esserlo altrettanto.
In Yannick, un quasi-kammerspiel in 4:3 che prende il titolo dal suo protagonista come in un romanzo naturalista (quale ironia), Dupieux si diverte col nostro approccio sacrale ai consumi culturali, anche se non manca di lanciare una stoccata, nel personaggio di Paul, all'ego ipertrofico degli attori. Utilizzando in questo caso non il cinema come in Réalité o Doppia pelle, ma il mondo teatrale, torna l'ossessione per la rappresentazione nella rappresentazione, per una mise en abyme in grado di potenziare negli spettatori l'effetto di distacco ragionato da ciò che sta guardando.
Al solito Dupieux crea i suoi mondi da zero e si occupa di tutto: sceneggiatura, regia, fotografia, montaggio. E prosegue nella sua ricognizione a elicottero su tutti i generi cinematografici, dal B-movie soprannaturale di Rubber al road movie di Mandibules - Due uomini e una mosca, passando addirittura per i supereroi de Il fumo provoca la tosse. Un approccio in ampiezza, mai troppo (volutamente) in profondità, a tratti divertente.