Tratto dall’omonima pièce del 2013 di Kemp Powers (qui anche sceneggiatore, come nel recente Soul di Pete Docter), Quella notte a Miami... è l’interessante debutto alla regia di Regina King, già pluripremiata star del nuovo firmamento afrohollywoodiano e autrice per diverse serie televisive. Un’opera prima non poco ambiziosa, che porta sullo schermo Sam Cooke, Cassius Clay, Jim Brown e Malcolm X riuniti in una modesta stanza d’albergo per festeggiare il pugile e la conquista del titolo per i pesi massimi nel 1964, evento che si fa occasione per gli amici di confrontarsi sulla questione nera e le sue problematiche, dinamiche, prospettive.

Attraverso questo espediente narrativo, la regista dà corpo così a una pluralità di voci che – come ha insegnato Spike Lee – è l’essenza dell’identità afroamericana, non un gruppo compatto e dal pensiero univoco, bensì variegato, eterogeneo e a volte conflittuale. Sam, Cassius, Jim e Malcolm non sono che la rappresentazione di modi diversi di agire coscienziosamente per il bene e il progresso della propria comunità. L’indipendenza economica di Cooke e Brown, i successi di Clay così come l’idealismo del leader nero costituiscono princìpi indiscutibili atti a stimolare una presa di coscienza che spinga altri a intraprendere la medesima strada, in nome di quel cambiamento oggetto del noto successo che il cantante soul avrebbe inciso di lì a poco e qui presentato a fine film.

Visioni e modalità diverse che vengono a contrapporsi nei fitti dialoghi che costituiscono la struttura della pellicola e riescono a umanizzare i quattro eroi dell’afro-americanismo del tempo. Più che mostrati nelle loro integerrime personalità pubbliche, dunque, ne sono messe in evidenza le fragilità, i dubbi e le paure personali, facendone esempi efficaci di una realistica quanto positiva mascolinità necessaria oggi come ieri. Sono uomini in transizione – Sam ha avviato un’attività parallela da discografico, Jim ha abbandonato il football per il cinema, il neo-campione Cassius sta per convertirsi all’Islam, Malcolm è stato allontanato dalla sua setta e sta per intraprendere il viaggio a La Mecca da cui tornerà radicalmente cambiato nel pensiero e nell’atteggiamento – e l’incertezza nel domani è resa così ancora più efficace.

Ecco allora che la volontà di vivere in un mondo dove “non è rischioso essere noi stessi, apparire come vogliamo, pensare come vogliamo”, espressa da Clay mentre spiega i rudimenti del Black Power a uno scettico Cooke, diventa la chiave del film, che si discosta dai toni generalmente epicizzanti del biopic per offrire un’immagine nuova dei suoi protagonisti. Gli eroi di King eccellono nelle loro discipline ma in fondo restano uomini, così vicini al vero da farsi esempio e non più solo modello per il pubblico. Il cambiamento passa anche da questo.