L'appuntamento è un film presentato nella sezione "Orizzonti" della 79ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, diretto dalla regista e scenografa macedone Teona Strugar Mitevska, già premiata alla Berlinale nel 2001 per il suo primo cortometraggio Veta, e nel 2019 con il Guild Prize per il lungometraggio Dio è donna e si chiama Petrunya.

Il film affronta in maniera inconsueta e ironica, tramite il registro del black humor, il tema della memoria, del perdono e dei traumi della guerra che vide a metà degli anni 90 il disgregarsi della ex Jugoslavia e il sanguinoso fronteggiarsi di religioni ed etnie differenti, rendendo nemici gli abitanti di una stessa città, la splendida Sarajevo.

Un hotel démodé anni 80 è la location quasi esclusiva del film, costruito in stile brutalista, una corrente architettonica del secondo dopoguerra caratterizzata dalla fredda funzionalità tanto da  utilizzare materiali industriali grezzi, specialmente il cemento a vista, e forme mastodontiche prive di orpelli (il nome brutalismo deriva infatti da beton brut ossia cemento a vista), mentre sullo sfondo s’intravede una Sarajevo da ricostruire, che mostra ancora le ferite della sanguinosa guerra dei Balcani.

Sono le stesse ferite che ha la protagonista Asja, una quarantenne single, che per conoscere l’anima gemella decide di trascorrere un sabato partecipando ad un incontro per cuori solitari (denominato “Un tocco di felicità”) all’interno dell’hotel; le viene proposto il bancario Zoran, un personaggio taciturno e misterioso. Ben presto Asja scoprirà che l’incontro non è casuale e che l’uomo non cerca l’amore ma vuole liberarsi dal senso di colpa che l’opprime: infatti molti anni prima, da giovane, come soldato serbo aveva sparato ad innocenti bosniaci nella città di Sarajevo e tra le vittime c’era la stessa giovane Asja, sopravvissuta all’orrore della guerra fratricida.

Le altre coppie potenziali dello speed dating compongono, insieme ai due protagonisti,  un tragicomico racconto corale: c’è chi non era ancora neanche nato durante la guerra, chi vi ha preso parte da soldato, altri ancora che esprimono  la loro visione dei fatti: tutti insieme rappresentano una riflessione sul senso di appartenenza ed un tentativo di ricucire, anche con l’arma dell’ironia, quelle ferite ancora aperte nell’immaginario collettivo dopo un evento drammatico e devastante come una guerra.

Ispirato a una storia realmente accaduta alla sceneggiatrice, la bosniaca Elma Tataragić, la cui potente scrittura rappresenta un elemento di pregio per la costruzione dei personaggi principali e l’intreccio della vicenda che si svolge nell’arco di un solo giorno, il film brilla soprattutto per la fotografia di Virginie Saint Martin, nelle cui inquadrature sorprendenti che regalano un senso di libertà e nei primi piani di precisione chirurgica riecheggia l’estetica della produzione aurea Xavier Dolan, a cui la regista ha dichiarato di ispirarsi.

L’accompagnamento musicale 'Odi et Amo' di Johann Johansson nella sequenza panoramica della città ripresa dall’alto nella sua quiete dolente, completa adeguatamente questo dramma sulla memoria aspirando ad una conciliazione che nasce inevitabilmente da una catarsi.