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“Padre Pio” emotivo più che biografico

Scritto a quattro mani con il bravissimo Maurizio Braucci, Padre Pio è una storia che procede su due binari paralleli destinati a non incontrarsi mai se non su un territorio storico-geografico comune: da un lato la passione del santo e dall’altra la cronistoria del massacro di San Giovanni Rotondo del 14 ottobre 1920. Di fatto, il film è un alternarsi tra lo spaccato politico-sociale del luogo e i pensieri e i conflitti spirituali di Padre Pio, qui in un ritratto emotivo, più che biografico. 

“L’appuntamento” con la storia e le sue ferite

L’appuntamento, presentato nella sezione “Orizzonti” della 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, diretto dalla regista e scenografa macedone Teona Strugar Mitevska, affronta in maniera inconsueta e ironica, tramite il registro del black humor, il tema della memoria, del perdono e dei traumi della guerra che vide a metà degli anni 90 il disgregarsi della ex Jugoslavia e il sanguinoso fronteggiarsi di religioni ed etnie differenti, rendendo nemici gli abitanti di una stessa città, la splendida Sarajevo.

“La chiamata dal cielo” di Kim Ki-duk oltre la morte

Realtà, fantasia e tutta la tensione che persiste quando le due dimensioni si sovrappongono: a ben vedere, la trama potrebbe essere considerata la summa di gran parte della poetica di Kim Ki-duk. Girato nel 2019 in Kirghizistan e portato a termine dopo la prematura scomparsa del regista per complicazioni da COVID-19, finisce per rappresentarne il testamento. Ma se il girato è tutta farina del suo sacco, le scelte legate alla finalizzazione dell’opera e alla sua post-produzione sono state affidate completamente agli amici e colleghi.

“Vera” con tutte le sue contraddizioni

Vera è un film che non si guarda per la storia d’amore tossica, gli inganni spiccioli e gli stereotipi, ma perché Vera Gemma è straordinaria. La sua scelta di un’estetica non conforme alle norme e la sua camminata possente sul tacco 12 – enfatizzata da una regia che la asseconda e la segue nel suo muoversi tra audizioni borghesi e la periferia romana – e la sua presenza scenica sono probabilmente le cose che hanno portato Vera alla vittoria nella sezione Orizzonti alla 79ª Mostra del Cinema di Venezia.

Speciale “The Whale” II – Tra solitudini e moltitudini

The Whale ci racconta così tante emozioni, talmente prossime alle nostre vite, che qualcuno potrebbe pensare si tratti di un tranello, di un’abile manipolazione che indirizzi agilmente questo film verso un premio, un riconoscimento. Ma non c’è niente di facile e immediato in The Whale, un gioiello di scrittura piccolo come gli spazi che presenta e grande come il protagonista, anzi, i personaggi tutti. Una storia complessa fatta di solitudini e moltitudini, costrette a far stare le loro strabordanti emozioni in confini autoinflitti e pronte a esplodere in una tensione oscura che nasconde una speranza irriducibile.

“Tutta la bellezza e il dolore” dell’animo indomabile di Nan Goldin

Perché alla fine è proprio lo spirito inquieto e visionario dell’artista ad emergere con prepotenza dal lavoro di Poitras. Sovrastando la sottotrama riguardante i crimini dei produttori di oppiacei, l’istantanea sul vissuto di Nan Goldin e la sua attività professionale è materia che autonomamente riesce a farsi carico delle implicazioni morali da cui il film trae sostentamento. Lo stile grezzo, sordido e violento che contraddistingue lo sguardo della fotografa è di per sé un’autobiografia dolorosa e un grido di rivalsa sulle costrizioni. 

“Tár” e la lezione del potere

Todd Field, che ritorna dopo 16 anni dietro la macchina da presa, lo fa con eleganza e maestria con un film stratificato che parla di potere, passando dai diritti femminili ed eguaglianza fino al mondo del lavoro e fino a che punto si è disposti a intercedere a compromessi per esso. Senza mai perdere il ritmo sembra aver acquisito anche lui la lezione del maestro Leonard Bernstein: “Giocare con il tempo e con la forma per trovare una propria voce”. 

“Gli spiriti dell’isola” speciale II – L’umanità che annega

Come in un sacco dell’immondizia quando si cerca qualcosa di importante che si è buttato per sbaglio, il Martin McDonagh di Gli spiriti dell’isola affonda le dita nelle viscere dell’essere umano e le rimesta a fondo senza misericordia. Il quarto lungometraggio scritto e diretto dall’autore fa dei luoghi e della comunità di uomini e bestie che li abita frattaglie da interpretare per divinazioni sul futuro un po’ di tutte le terre, quelle da cui e quelle per cui si salpa. E non è in vena di buoni auspici.

“Gli spiriti dell’isola” speciale I – Il piacere del racconto

Con Gli spiriti dell’isola McDonagh torna a raccontare la solitudine, a portarla in scena come solo lui è in grado di fare oggi, con delle sottili quanto incisive sferzate diegetiche che partono dai particolari per dipingere un mondo di ammaliante nitidezza. Il soffocante senso di isolamento che domina il comparto emotivo viene lentamente instillato attraverso un parsimonioso utilizzo dei dialoghi, i quali molto spesso cedono qui il passo a silenzi gelidi, colmati solamente dai suoni dell’isola.

“Chiara” piena d’amore con tutti i suoi difetti

Non sarà un film perfetto, ma è indubbio che Chiara sia un film pieno d’amore. Amore per la storia che racconta, amore per la protagonista e per le sue motivazioni, amore per la terra e per il tempo in cui si svolge. Amore per il grande cinema italiano di costume e religioso (Rossellini e Pasolini su tutti, “oltraggiati” e omaggiati), amore per tutto ciò che possa recidere i legami con quello stesso cinema. Amore per tutto ciò che non è stato raccontato. Amore per le potenzialità del cinema. Un amore che finisce per sovrastare il film stesso, ingessato in una ricercata naturalezza, ma che si fa portavoce di una adorabile fragilità.

“Saint Omer” e la disperata ricerca di un senso

Affidandosi principalmente a primi piani in camera fissa, in cui le parti coinvolte nel processo esprimono la propria parziale versione dei fatti, Saint Omer pare dapprima adoperarsi per un annullamento dell’empatia che lentamente si trasforma in sguardo onnicomprensivo. Una visione che si rivela affatto fredda e distante, ma consapevole della propria inadeguatezza e quindi alla disperata ricerca di un senso, di una chiave di lettura che possa concedere una forma al caos cui sta assistendo. E il volto di Rama è la tela su cui viene dipinto questo inconsueto legame empatico.

“Rumore bianco” e lo spettacolo della morte

Baumbach mette in moto la “macchina spettacolare” del suo cinema per la prima volta, celebrando quel paradosso dell’esibizione del disastro, decidendo di dare spazio all’azione come mai gli era capitato di fare. Tra esplosioni e inseguimenti costruisce il contrappunto tra uno e tutti, singolo e massa, privato e pubblico, dove la massa è esorcizzazione e il singolo è angoscia. Per un film però molto più interessato, come detto all’inizio, alla via di mezzo delle traiettorie private, familiari e sentimentali, anche in termini di protagonismo e voce narrante.

“Bones and All” e l’America fagocitata

Bones and All, come immaginabile, è un film che parla dell’affrontare la propria natura, combatterla, accettarla, contrattarla e interpretarla eticamente. Maren lo fa confrontandosi con diverse personalità: anziani che ritualizzano il processo, adulti che si “autocannibalizzano” e giovani che procedono con un’etica personalissima ma non sempre stabile. Tanto da poter affermare che la differenza generazionale, secondo Bones and All, è anche e soprattutto qualcosa che ha a che fare con l’etica e la morale.

“Argentina 1985” e la linearità della giustizia

Al centro del film il personaggio di Strassera, interpretato dell’intenso Ricardo Darín, uno degli attori più noti del cinema argentino contemporaneo (e protagonista, tra le tante pellicole, di Il segreto dei suoi occhi, premio Oscar 2010 come miglior film straniero). Mitre insegue una minuziosa ricostruzione storica che realizza attraverso una scenografia e una sceneggiatura molto accurate ma anche attraverso la ricerca della somiglianza fisica degli attori ai personaggi reali, quasi a voler catturare nel modo più fedele possibile oltre che lo spirito del tempo anche la sua immagine (in alcune sequenze sovrappone direttamente alcune fotografie del processo alle immagini del film).

“Marcia su Roma” tra Storia e illusione

Tecnico, per una metà, un po’ semplicistico, per l’altra. L’ultimo documentario di Mark Cousins (The Story of film: an Odyssey) cerca un equilibrio difficile fra cinefilia, politica e storia, perdendosi a rincorrere ricorsi storici. Dispiace per un’occasione forse non persa, ma colta a metà. Presentato alle Giornate degli Autori a Venezia, il film passa velocemente dalle tautologie trumpiane (“Mussolini is Mussolini”, “I want to be associated with interesting quotes”) alla Napoli del 1922 di È piccerella. Poi da Elvira Notari a Umberto Paradisi: sempre sul golfo di Napoli si apre A Noi racconto-celebrazione della marcia su Roma.

“Athena” e il cinema della guerra urbana

Di fatto, Athena è un film di ragazzi. Oltre al lutto, ai confronti sul senso di giustizia, c’è la dura e istintiva voglia di vendetta. E la coreografia e il lirismo, il ritmo adrenalinico e immersivo, più che a una semplice esibizione dei mezzi di Romain Gavras, sembra essere più un tentativo di incorniciare il film in uno spazio quasi videoludico. Questi fluidissimi piani sequenza – che oggi, ormai, appartengono più al videogioco che al cinema – ribadiscono che ci troviamo di fronte a una guerra che in continuazione si fonde con il gioco.

“Blonde” speciale. Marilyn tra luce e buio

Al centro di tutto c’è sempre Norma Jeane. Dall’infanzia traumatica fino alla controversa morte, il viso di Marilyn Monroe è abbagliato dai flash, dalle lampade di una sala operatoria, dalla luce del sole su una spiaggia. Sempre. Nemmeno gli improvvisi passaggi al bianco e nero che Andrew Dominik impiega come lente deformante di una realtà patinata riescono ad oscurare tutto questo eccesso di luminosità. Ma poiché Blonde è un film fatto di dualismi, tra vita pubblica e privata, realtà e leggenda, vero e falso, nascita e morte, dove c’è la luce c’è anche il buio.

“Blonde” speciale. L’epopea perversa di sogni infranti

Blonde sembra quindi indeciso sulla strada da intraprendere, in bilico tra il percorso orrorifico (già magistralmente battuto da Larraín con Spencer) e quello squisitamente narrativo. La scelta di privilegiare il punto di vista di Marilyn non raggiunge le potenzialità di una provocazione “alt(r)a”, ma si blocca spesso, tragicamente, in superficie. I momenti più riusciti sono forse quelli più tetri e grotteschi, quelli in cui lo sguardo di Marilyn e dello spettatore si incrociano, finendo anche per coincidere.

“Siccità” con un barlume di luce

Ancora una volta Virzì mantiene il proprio cinema a cavallo tra la finezza d’autore e l’ampia accessibilità dell’opera popolare e ancora una volta riesce a scavare nel pessimismo esistenziale per rinvenirvi un barlume di luce. È certamente una visione amara quella proposta dal regista toscano. Un’amarezza che, pur non concedendo una via di scampo pienamente percorribile, mostra quantomeno un’apertura verso delle alternative forme di redenzione. Invisibili all’ombra di un sistema sociale, economico, ambientale sull’orlo del collasso definitivo, le possibilità di rivalsa o pacificazione esistono e trovano il modo di affiorare anche negli antri bui dell’abbandono e della rassegnazione. 

“L’immensità” e la messa in scena del ricordo

L’immensità, in effetti, non è un film propriamente militante, e la sessualità del protagonista Andrea, alter ego di Crialese, fa parte di un discorso più “casalingo” di quanto si sia pensato. Al centro di questo racconto autobiografico vi è il rapporto fra Andrea e sua madre Clara, che difende la libertà del figlio a costo di essere bollata assieme a lui come “diversa”. La storia di un corpo estraneo, alieno per auto-definizione, e del suo legame con un altro corpo, emarginato dal mondo di cui fa parte.