Come il titolo suggerisce, 1968 A White (and Black) Album è una vera e propria collezione di immagini in movimento, talvolta organizzate talvolta mescolate, proprio come quando a distanza di molti anni si vanno a riordinare le vecchie fotografie, e nella selettività della memoria le si accosta più per affinità e rimando, che per effettivo ordine cronologico. Fulvio Baglivi, uno degli autori di Fuori Orario di RaiTre, sa bene come farle parlare in un modo che sia più evocativo che conclusivo, sebbene alcune riflessioni personali non manchino.

Baglivi tratta naturalmente gli snodi di cronaca fondamentali di quegli anni: le contestazioni degli studenti californiani, dai quali la protesta iniziò già nel 1964, e degli studenti del nostro paese, le manifestazioni degli afroamericani contro la discriminazione, gli omicidi di Martin Luther King e di Robert Kennedy, la guerra in Vietnam, i movimenti operai, l'uomo nello spazio in procinto di atterrare sulla luna. Fra di essi inserisce sia note di costume pervasive della nostra cultura collettiva, come il look da figli dei fiori, la minigonna, la carta di credito, la morte di Padre Pio, che momenti di approfondimento su temi come la tecnologia e l'antipsichiatria, con interviste a grandi pensatori come Herbert Marcuse, Michel Foucault, Gilles Deleuze e Félix Guattari.

Ai telegiornali e alle trasmissioni televisive dell'epoca accosta e giustappone il lavoro dei cineasti, da Roberto Rossellini all'underground italiano del periodo, passando naturalmente per Frederick Wiseman, il padre elettivo di qualsiasi documentarista voglia far parlare le immagini da sé. La visione più personale dell'autore si svela però quando lancia uno sguardo su alcuni temi in teoria non così centrali per una descrizione essenziale di quell'ieri, ma che riverberano in maniera potente sull'oggi: la novità dei “cervelli elettronici” con le possibili conseguenze sulla libertà e il controllo degli esseri umani, e il primato delle immagini sull'esperienza diretta nella conoscenza della realtà, in quella che Guy Debord aveva definito “società dello spettacolo” giusto nel 1967 (e a tal proposito, Papa Paolo VI in visita natalizia agli operai di Taranto con telecamere al seguito, che li invita a non togliersi l'elmetto, è un piccolo capolavoro di ripescaggio).

Volutamente non omogeneo fra nozionismo di base e focus tematici, 1968 A White (and Black) Album ne esce come un quadro che non vuole essere esaustivo, quanto piuttosto suggestivo e stimolante per un ulteriore approfondimento personale dello spettatore. Non è forse il documentario più adatto a chi non sappia proprio nulla di quel periodo, e che stenterebbe a formarsi un'idea dei meccanismi di causa e effetto che si produssero in quel particolare contesto storico, generando un terremoto sociale, ma per tutti gli altri si tratta indubbiamente di una collezione di madeleine proustiane di prim'ordine.