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“1968 A White (and Black) Album” per Cinema e Sessantotto

Come il titolo suggerisce, 1968 A White (and Black) Album è una vera e propria collezione di immagini in movimento, talvolta organizzate talvolta mescolate, proprio come quando a distanza di molti anni si vanno a riordinare le vecchie fotografie, e nella selettività della memoria le si accosta più per affinità e rimando, che per effettivo ordine cronologico. Fulvio Baglivi sa bene come farle parlare in un modo che sia più evocativo che conclusivo, sebbene alcune riflessioni personali non manchino. Baglivi tratta naturalmente gli snodi di cronaca fondamentali di quegli anni: le contestazioni degli studenti californiani, dai quali la protesta iniziò già nel 1964, e degli studenti del nostro paese, le manifestazioni degli afroamericani contro la discriminazione, gli omicidi di Martin Luther King e di Robert Kennedy, la guerra in Vietnam, i movimenti operai, l’uomo nello spazio in procinto di atterrare sulla luna. 

“Hollywood Party” per Cinema e Sessantotto

Hollywood Party è puro ritmo, divisibile in più tempi, che si avvia verso un crescendo vorticoso e frenetico per poi chiudersi quietamente. Una scansione temporale, metricamente perfetta, proveniente da una narrazione che procede per gag al cui centro c’è sempre Peter Sellers nei panni dell’indiano Hrundi, rispettoso e impacciato, che non riesce a trovare il suo posto nell’ambiente che lo circonda. Un personaggio che tenta di mescolarsi agli altri, ma che, non riuscendoci perché puro come un bambino, porta all’inevitabile collasso quel mondo: composto da gente fasulla ed irrispettosa, interessata solo al denaro, che Hrundi, per un disguido o per l’altro, smaschera continuamente. Si pensi ai parrucchini degli ospiti maschili alla festa ed alle parrucche indossate dalle donne: tutti mascheramenti che vengono svelati più volte (dal personaggio più “mascherato”).

“Il mucchio selvaggio” per Cinema e Sessantotto

Il discorso sull’uomo di Peckinpah non prescinde dalle situazioni e dal momento storico. Il mucchio selvaggio è in realtà anche un film sulla guerra, in cui si avvertono gli echi del Vietnam: nella rappresentazione di un potere che non ha pietà, che delega il lavoro sporco di uccidere ad altri, ma lo fa con assoluta discrezionalità e tiepidi rimorsi per i malcapitati sulla sua strada; nello sbeffeggio della stupidità e insensatezza umana di fronte alla volontà di potenza e all’ebbrezza di dominare sugli altri, come illustra la scena della mitragliatrice, da antologia; nella riflessione sull’inevitabilità della catena della violenza, dove un solo atto di aggressione conduce al conflitto senza possibilità di scelta, che le parti in gioco lo vogliano oppure no, come mostra la resa dei conti conclusiva.

“Nostra Signora dei Turchi” per Cinema e Sessantotto

Adattamento del suo omonimo romanzo del 1966, Nostra Signora dei Turchi è il primo lungometraggio di Carmelo Bene nonché l’inizio, a parte un paio di corto e mediometraggi, della sua breve ma significativa incursione nel linguaggio cinematografico a partire dal 1968, che si concluderà in soli cinque film nel 1973. Per la sua opera prima, Bene porta sullo schermo scene criptiche e indecifrabili, che a voler far rientrare in uno schema narrativo assomigliano al flusso di coscienza di uno scrittore intellettuale. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia del 1968, vinse il Leone d’Argento ma questo non accontentò Bene, convinto di meritare il premio della critica. In un clima generale di contestazione pesantissimo, il suo sdegno eclatante contribuì a sollevare un polverone, che portò il festival dall’anno successivo a divenire, per qualche edizione, non competitivo. 

“Easy Rider” tra Cinema e Sessantotto

Pensato dal regista Hopper e dal produttore Fonda come un western, coi nomi dei due protagonisti che rimandano direttamente a Wyatt Earp e Billy The Kid,  Easy Rider conserva la capacità di mitizzazione del genere, ma sa rielaborarla con una retorica del tutto nuova: l’epica degli affreschi paesaggistici e della moto come simbolo si accompagna a una colonna sonora rock potentissima  e dialoghi sconclusionati ma emotivamente evocativi, in parte improvvisati dagli stessi attori sotto l’effetto di droghe. Affianca a un passo del racconto maestoso e per molti versi classico, anche momenti di montaggio serrati, violenti, ricchi di inusuali flash-forward, e una scena nel cimitero da cinema sperimentale. Easy Rider è un film sulla libertà come apertura alle possibilità, ma anche come senso di inappartenenza alla realtà dominante. 

“C’era una volta il West” tra Cinema e Sessantotto

Morricone è il co-autore del film: il tema di Jill è caratterizzato da un “andamento grandioso” ed esattamente come Jill (e l’America) guarda al futuro, al cambiamento, a una nuova forma. Quello di Armonica, invece, riguarda due personaggi (lo stesso Armonica e il villain Frank) ed è legato a doppio filo con il concetto di vendetta, si lega al passato, alla violenza gratuita ed ingiustificata che uomini come Frank hanno perpetrato sadicamente. Il terzo tema è quello di Cheyenne, più ironico e giocoso, così come è la natura del personaggio. Al brano è legato un aneddoto curioso: Morricone non riusciva a capire a fondo la natura del personaggio e tutto quello che componeva non soddisfaceva l’esigentissimo Leone il quale, per far comprendere precisamente al musicista cosa volesse, paragonò il bandito al Biagio del film Disney Lilli e il vagabondo. Solo in quel momento Morricone cominciò a comporre il leitmotiv del personaggio-simbolo di tutte le contraddizioni americane.