Camilla (Kasja Smutniak, bravissima) è una corporate lawyer. Donna agguerrita in ambiente maschilista; carattere duro forgiato dalla necessità professionale di stare sempre un passo avanti a tutti, specialmente a quei colleghi che le rubano le idee spacciandole come proprie per poi cavarsela con un sorriso e una promessa di promozione. Catturata dal frenetico ingranaggio di una vita in cui “domenica” è una parola dal suono sconosciuto e le mete dei suoi viaggi si riducono ad uffici ed aeroporti, una sera Camilla, mentre attraversa la strada parlando al cellulare, viene investita da uno scooter.

All’apparenza un piccolo incidente (un gesso al braccio, poi un piccolo tutore) che non la tiene lontana dall’ufficio nemmeno per un giorno; in realtà un vero e proprio punto di rottura che fa saltare le sue coordinate: le conseguenze per uno dei due ragazzi che erano sul motorino sono molto più gravi e per Camilla inizia una sorta di travaglio interiore che gradualmente mette in discussione tutta la sua realtà.

Soldini non è nuovo a forme di racconto che seguono una protagonista nel passaggio da una situazione statica, che improvvisamente si rivela insoddisfacente, ad un’altra in cui la donna può abbracciare una felicità della cui esistenza si era quasi dimenticata: Pane e tulipani è un richiamo d’obbligo a questo proposito, ma nel guardare a 3/19 non bisogna tanto osservare la narrazione primaria (peraltro piuttosto lineare) quanto i sottotesti con le molteplici sfaccettature e i relativi livelli di lettura.

È chiaro come l’incidente subìto rappresenti simbolicamente la rottura di un equilibrio che indica a Camilla il bisogno di fermarsi. Apprendere del gravissimo esito dello scontro apre alla donna un vaso di Pandora che riversa nel suo presente un passato ormai sepolto (anche fisicamente: in cantina). Soldini costruisce un bellissimo film incentrato sul tema della responsabilità, attribuendo a questo concetto cardine una serie di derivazioni semantiche e connotative che partono dall’ambito professionale (le aspettative del contesto e la paternità di un’idea strategica), scavano nella coscienza (la messa in discussione delle proprie azioni fino ad esprimere il dubbio di aver causato l’incidente), portano alla luce il passato rivestendo i ricordi di un senso di colpa finora inconfessato e offrono infine allo specchio del presente un’assunzione di responsabilità soprattutto verso sé stessa.

La protagonista di 3/19 compie un percorso modellato sulla classica struttura del viaggio dell’eroe proppiano, tanto fisico/spaziale (dai piani alti della Milano degli uffici finanziari alle mense dei poveri e ai dormitori dei quartieri popolari, fino all’obitorio) quanto interiore e spirituale, che mette Camilla in contatto con il proprio sé, sia come donna sia come essere parte del mondo. Lo scontro diviene occasione di incontro, anzi di incontri: con un ambiente (quello degli immigrati) marginale alla sua vita ma anche alla quasi totalità della società; con un uomo (il Bruno di Francesco Colella, personaggio riuscitissimo) che, forte della sua vicinanza alla morte in quanto direttore di obitorio, le insegna il valore del godimento della vita; con la figlia Adele, con cui Camilla si rende conto di non avere un rapporto ma che diventa proprio la confidente fondamentale per la sua liberazione, nonché la concretizzazione di quell’alterità che la donna impara a dover rispettare.

Questi dualismi risultano evidenti anche dal punto di vista fotografico: tanto asettici e coloristicamente freddi sono gli ambienti degli uffici di Camilla quanto caldi e colorati sono la casa di Bruno o il bar dove Adele canta con gli amici. Soprattutto, calda e accogliente è la natura che circonda il primo pranzo con l’amico o accompagna madre e figlia nel loro viaggio in macchina. La scrittura di Soldini, Leondeff e Lantieri delinea un racconto costellato di sequenze toccanti, rivelandosi davvero notevole nella costruzione dei personaggi, nonostante qualche piccola forzatura. Il regista milanese si dimostra nuovamente maestro nella direzione degli attori e nel raccontare grandi avvenimenti attraverso i dettagli e gli sguardi dei personaggi, mentre il suo sguardo verso i protagonisti, nell’assenza di un esplicito giudizio, chiama in causa lo spettatore in un’empatia profondamente emozionante.

Con l’allargarsi del racconto dal piccolo al grande, dall’io al noi, diventa forte anche la presenza dell’ambiente, della natura: il film si apre con l’inquadratura di un bosco (simbolo dell’unico angolo di pace di Camilla, la sua interiorità) e si chiude con un dolly sul mare, ad accompagnare l’esigenza di un respiro che la donna, dopo aver fatto pace con sé stessa, può finalmente trarre.