La peculiarità ed il principale motivo di interesse che caratterizzano un festival dedicato agli autori esordienti, risiede principalmente nella possibilità di ampliare la portata dello sguardo sul panorama produttivo che contraddistingue la nostra cinematografia, richiamando l’attenzione su una zona spesso adombrata, ma animata da una fervida vivacità.

Per questo motivo il festival Visioni Italiane, la cui venticinquesima edizione si è appena conclusa, costituisce un centro nevralgico fondamentale per testare la condizione in cui versa il cinema italiano. Nella conferenza stampa di apertura, il direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli ha avuto modo di specificare che questa edizione del festival avesse come particolare obiettivo quello di far emergere le varie modalità di espressione che compongono la nostra cinematografia, la maggior parte delle quali non trova una propria collocazione all’interno del mercato. A manifestazione conclusa, possiamo tranquillamente affermare come queste premesse siano state rispettate, consci di avere una visione più lucida e veritiera delle forze operanti nel nostro paese. La varietà dei linguaggi è stata certamente la cifra che ha caratterizzato la sezione principale del festival, dedicata ai corti ed ai mediometraggi di finzione, in cui è stata racchiusa un’eterogenea moltitudine di generi, forme e tematiche.

Una varietà che trova la sua adeguata esemplificazione nell’eterogenea gamma dei film premiati. La giuria principale (composta da Stefano Consiglio, Leonardo Guerra Seràgnoli, Federica Illuminati, Guido Michelotti ed Alice Rohrwacher) ha attribuito il premio al miglior film al corto Inanimate della regista Lucia Bulgheroni. Un’opera brillante e malinconica che attribuisce una valenza drammaturgica alla tecnica animata della stop-motion, elaborando un’appassionata ode a quell’entità creatrice conosciuta come Cinema. Il premio per la miglior regia è invece andato a La Bête, horror bucolico di Filippo Meneghetti, il quale riesce ad instillare nello spettatore una dose sempre crescente di tensione grazie al rigore stilistico ed alla cura degli elementi di messa in scena. La giuria senior ha conferito anche le menzioni speciali a due opere totalmente differenti tra loro sotto l’aspetto formale, ma accomunate dalla ricerca di una marcata originalità espositiva. Si tratta del laconico ed essenziale Muttershaft, opera attraverso cui il regista Flavio Rigamonti mostra come l’istinto materno possa arrivare ad abbattere i limiti imposti dal comune senso del pudore, e l’ambizioso In Her Shoes di Maria Iovine, operazione che parte dall’idea potentissima di creare un apologo ucronico sfruttando il materiale d’archivio, ma che nella realizzazione finisce purtroppo per smarrire gran parte della propria forza.

Il dramma famigliare Little Boy Lost/Little Boy Found, diertto da Tommaso Bertoncelli, è invece stato insignito del riconoscimento Young for Young, riferito alla migliore opera che affronti il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. Agli studenti del Liceo delle Scienze Umane Laura Bassi di Bologna è spettata l’assegnazione dello speciale Premio Giovani, conquistato dal musical Beauty di Nicola Abbatangelo. Tra le opere più costose e produttivamente complesse selezionate nel concorso, Beauty sfrutta un raffinato comparto visivo per dimostrare che la magia del grande spettacolo di matrice classica possa esistere anche se compattata entro i limiti del cortometraggio. Gli studenti ed i docenti della Scuola di Ingegneria ed Architettura dell’Università di Bologna coordinati dal prof. Carlo Alberto Nucci hanno invece conferito al già citato La Bête il premio per il miglior contributo tecnico.


Infine, il premio alla migliore sceneggiatura (elargito dagli studenti dell’area “Fiction” di Bottega Finzioni) è stato assegnato a Parru pi tia, corto di Giuseppe Carleo, che ha saputo adeguare in maniera sagace e spontanea gli elementi del folklore siculo ad un arco narrativo conciso, netto ed esilarante.  Come anticipato, una lista di premiati decisamente variegata, una commistione di titoli che rappresentano il culmine di percorsi generati da sensibilità differenti e diversi iter realizzativi. Opere che denotano la presenza di un contesto vivo e pulsante, in grado di confermare le forze dei generi ampiamente diffusi, ma anche di aprire scorci che su prodotti non pervenuti nel circuito della grande distribuzione nostrana.


All’interno di un’industria dall’assetto atrofizzato, in cui gli sprazzi di freschezza sono ancora troppo rari, la selezione di Visioni Italiane ci porta dei preziosi tasselli che compongono un mosaico tanto sconosciuto quanto incoraggiante, nella speranza che una tale diversificazione possa essere la chiave per il nostro futuro.