Un uomo scappa da qualcuno o da qualcosa, corre sui binari di una stazione ferroviaria, raggiunge  una spiaggia e qui un altro uomo, morente, gli consegna un’ingente somma di denaro. L’incipit di 9 doigts parrebbe l’inizio di qualcosa di molto simile ad una produzione thriller banalmente mainstream. Ma dopo qualche minuto entra in gioco la regia di F. J. Ossang che ribalta la prospettiva delle cose. Bisogna dirlo fin da subito: il regista, poeta e artista francese è audace, e non poco. In un connubio tra distopia, atmosfere vintage e un po' di steampunk, è inevitabile rimanere sedotti dal cinema del regista: incessanti sono gli omaggi all’espressionismo, al noir e al cinema muto, inquadratura dopo inquadratura, transizione dopo transizione.

Ogni piccolo frammento di scena, si può tranquillamente affermare, ha una storia tutta sua. A dire il vero viene spontaneo pensare che Ossang di omaggi al cinema di un tempo passato e nascosto non ne abbia proprio voluti fare. Così elegante e meticoloso nella mise en scène, poetico nel bianco e nero contrastato, sentimentale nell’insistere coi primi piani senza staccare la macchina da presa, geometricamente scrupoloso nella composizione dell’immagine, così genuinamente personale e autoriale.

Magloire (Paul Hamy), l’uomo fuggitivo, viene poi braccato da una banda di malviventi. Pur di non venire ucciso decide di unirsi a loro, sebbene le loro intenzioni siano alquanto ambigue. Così Magloire si trova inaspettatamente membro dell’equipaggio di una nave cargo diretta verso una destinazione sconosciuta. Destinazione che per molto tempo rimane oscura, così come oscuro, torbido e terrificante è il mare su cui navigano senza sosta. In più la permanenza di Magloire sulla nave si rivela tutto fuorché tranquilla, poiché a bordo vi è una piccola quantità di polonio in grado di sterminare centinaia di persone in pochi giorni.

Di conseguenza, una nave fantasma dove i rapporti tra i personaggi diventano insussistenti: gli unici scambi verbali sono digressioni metafisico-filosofiche sulla condizione umana e sul lento appassimento del pianeta Terra. Perché Nowhereland, la fittizia isola di plastica e cenere, fulcro del viaggio e ossessione della banda, non appartiene alla Terra, bensì è il rigetto, il sintomo di malattia di tutto l’operato annientatore causato dall’uomo. Nowhereland è lì ad attenderli, allontanandosi sempre di più, mentre i passeggeri/prigionieri della nave cadono uno alla volta, vittime dell’avvelenamento, della follia, inghiottiti dall’angoscia e dal tormento della non conoscenza: uomini persi nel Nulla, alla maledetta ricerca infinita di un Tutto. J. Ossang ha senza alcun dubbio del coraggio da vendere. 9 doigts, un film di raro e squisito cinema, merita uno sguardo attento e cinefilo.