“La prossima volta che mi porti a vedere un film d’azione giuro che chiedo il divorzio”, dice Rosa a suo marito, Nicola Calipari, dirigente del SISMI, concludendo, “A volte era davvero fin troppo semplice”. Il nibbio, che prende il titolo dal soprannome di Calipari, è un film diverso da quello che hanno visto Rosa e Nicola in una rara serata libera del marito.
La firma di Sandro Petraglia sulla sceneggiatura legittima infatti aspettative per un’opera che coniughi l’azione con l’inchiesta come, per citare solo alcuni dei molti lavori dello sceneggiatore, Il muro di gomma (Marco Risi, 1991), Romanzo criminale (Michele Placido, 2005) o Romanzo di una strage (Marco Tullio Giordana, 2012). Anche in questo caso abbiamo come punto di partenza “una storia vera”, un altro mistero italiano il cui tragico epilogo non è mai stato completamente chiarito: la trattativa condotta da Nicola Calipari per il rilascio di Giuliana Sgrena, giornalista del quotidiano comunista Il Manifesto, sequestrata a Baghdad da un gruppo sunnita.
Siamo nel 2005 e, nell’Iraq occupato dagli Stati Uniti e dalla coalizione internazionale che ha rovesciato Saddam Hussein, i rapimenti e gli attentanti contro i connazionali delle forze invasori sono all’ordine del giorno. Una trattativa, che, come dice lo stesso Nibbio ad un certo punto del film, non può risolversi all’americana, con un blitz e un’irruzione armata nel covo dei terroristi dove l’ostaggio è tenuto prigioniero. Non è una storia semplice.
Indubbiamente, il regista Alessandro Tonda guarda anche al film d’azione che, come ha dimostrato con il suo debutto The Shift (2020), sa dirigere con la giusta attenzione al ritmo e alle sequenze più spettacolari. Un primo modello per Il nibbio è quindi la spy-story con girandola di location internazionali dove si alternano palazzi del potere e di sorveglianza globale e sporchi retrobottega in cui passano armi ed informazioni, resort di lusso e quartieri polverosi, catturati con la consueta tonalità seppia.
E, tuttavia, il film di Tonda non mira semplicemente a tenere il pubblico col fiato sospeso attraverso le gesta spettacolari di un supereroe invincibile in quanto, purtroppo, la fine della vicenda è nota. Il nibbio commemora il suo stesso protagonista, morto sotto i colpi del fuoco amico americano mentre stava conducendo l’ostaggio appena liberato in aeroporto per riportalo in Italia. Una conclusione tanto tragica quanto inaspettata, proprio quando la missione sembrava portata a termine con successo. Un omicidio rimasto senza colpevoli per mancanza di giurisdizione del tribunale italiano e per cui, quindi, nessuno è responsabile, come nei molti misteri italiani al centro di quello che Anton Giulio Mancino ha descritto come un tipo di cinema costruito su un paradigma indiziario.
Lo stesso personaggio di Calipari, a cui l’efficace interpretazione di Claudio Santamaria restituisce l’umanità del padre di famiglia anche nel contesto di un’indagine internazionale, è visto prevalentemente come uomo della trattativa e del negoziato più che come protagonista di azioni spettacolari, caratteristiche queste che non piacciono a tutti i suoi colleghi e nemmeno agli alleati americani.
Questo aspetto d’inchiesta avrebbe meritato un maggiore sviluppo, anche con riferimento ai fatti avvenuti dopo l’uccisione di Calipari e a quanto i rapporti tra il governo italiano e statunitense abbiano condizionato i tentativi di fare effettivamente luce sull’accaduto. Tuttavia, anche se le due anime del film non sempre si saldano in una costruzione organica, Il nibbio e la sua istanza di verità non possono lasciarci indifferenti. Il contrasto tra i patti rispettati dai rapitori e la mancanza di lealtà americana risalta con evidenza nella tragica conclusione.