La provincia è un luogo mistico, un microcosmo in cui il tempo scorre con una lentezza metafisica tale da chiedersi se, da quando esiste, sia mai cambiato qualcosa. Usi, costumi e abitudini sono duri a morire e più che scomparire trovano un modo di adattarsi al contesto, d’altro canto, l’innovazione ha un ritmo tutto suo e si è soliti dire che si fa prima ad andar via che a cambiare il paese. Dunque le alternative sono due: fuggire o abbracciare la tradizione, e in quel di Palmi i Manetti Bros. optano per la seconda, abbracciano “la tradizione” proponendo un film sul calcio fuori tempo massimo, con una struttura narrativa vista e rivista e personaggi fin troppo inflazionati.
Don Vincenzo, grande tifoso della Palmese, tenta di coinvolgere tutta Palmi in una colletta per comprare il fuoriclasse Etienne Morville, indisciplinato e rifiutato dai migliori club, cosicché la squadra di paese possa vincere il campionato dilettanti. Incredibilmente ci riesce e l’attaccante, tutt’altro che felice, sarà costretto a confrontarsi con un contesto al quale non è abituato.
Non serve molto per capire che piega prenderà la parabola del campione o in che modo terminerà il campionato, replicando il classico schema dello straniero nel luogo bizzarro proposto da innumerevoli pellicole non necessariamente a tema calcistico, che siano Cars, Benvenuti al Sud, o Song ‘e Napule degli stessi Manetti. C’è il bagno d’umiltà, la messa in dubbio dei propri valori e la rivalutazione del territorio, mentre per quanto riguarda quest’ultimo, la rappresentazione del sud Italia è ancora legata agli stilemi classici presentando un popolo ignorante e arretrato, ma di cuore.
È tutto estremamente prevedibile e a un primo sguardo U.S. Palmese sembra allora un film con ben poco da offrire, superfluo, appartenente a un filone talmente sfruttato da essere stato persino abbandonato, quando invece è proprio la sua natura provinciale, antica oseremmo dire, a renderlo un elemento degno di interesse.
Quanto descritto finora è innegabile, ma si potrebbe anche ribattere affermando che l’intera filmografia dei due registi è caratterizzata dal ripercorrere generi e archetipi tipici di un cinema ormai sempre più lontano dalle sale (proprio Diabolik ne è un degno esempio), a discapito di qualsiasi logica commerciale e con la stessa sfacciataggine di un baldo giovane che prende a cazzotti una vecchia, intenta a saltare la fila solo perché affaticata dallo stare in piedi.
U.S. Palmese è infatti estremamente consapevole di tutto ciò e lucido nel mettere in scena il contrasto tra la metropoli e la provincia, elemento chiave nella nostra lettura del film, evidenziando le differenze culturali, linguistiche e allora anche narrative. Se a Milano, per esempio, un’espressione spiacevole può fare il giro dei social e condannare qualcuno alla “cancellazione”, a Palmi è l’intera comunità, reale e non virtuale, a urlare in coro insulti e parolacce senza alcun ritegno.
Così come cambiano le priorità, laddove l’acquisto di un calciatore è più importante della costruzione di un ospedale e il concetto di cultura è quantomai lontano da ciò di cui si discute nei salotti letterari. Il personaggio della poetessa, interpretata da Claudia Gerini, seppur marginale e utile solo per un paio di gag, non è infatti lì a caso. Ecco allora che una semplice partita di calcio tra squadre dilettanti può assumere proporzioni epiche per i cittadini di Palmi e il reclutamento di un portiere, costretto a fare il pescatore per aiutare in famiglia, non ha nulla da invidiare nemmeno a Gesù Cristo che chiama San Pietro per farlo Apostolo.
I Manetti trattano lo sport con un taglio da cinema action, riecheggiando i fasti di Holly e Benji e Shaolin Soccer, con tanto di colpi segreti e mosse speciali. Il tempo si dilata come solo in provincia può accadere, tra ralenti, freeze frame e stalli alla messicana degni di un western, nel mentre i giocatori lottano per un obiettivo apparentemente stupido, ma capace di condizionare un’intera città.
Tra i tanti tifosi stagionati sugli spalti vi è poi anche qualcuno di più fresco, in particolare Concetta, la figlia di Don Vincenzo, che ha però un ruolo fin troppo funzionale scadendo nell’essere la quota giovane della città. Neanche il personaggio di Morville brilla particolarmente, tra un non meglio precisato passato nelle banlieu parigine e il confuso rapporto con una vecchia fiamma d’infanzia, si limita a ricoprire il suo ruolo senza particolari guizzi.
Come dicevamo, U.S. Palmese si muove su binari ben precisi, non offre sorprese e utilizza i propri personaggi in maniera strumentale al solo scopo di portare la narrazione sul finale previsto. A emergere con forza però, oltre al “calcio-spettacolo”, è la realtà di provincia, il suo essere un’anomalia (un po’ come i Manetti in fondo), il grande valore della cultura popolare.
E probabilmente qualche decennio fa anche questo sarebbe stato considerato un film popolare, ma il fascino verso operazioni del genere è ormai appannaggio di quei pochi superstiti che visitano le sale nelle rare occasioni in cui debuttano pellicole come U.S. Palmese. Oggi, film di questo tipo sono diventati tradizione.
Allora ci sentiamo di dire che i Manetti fanno cinema provinciale, nell’accezione più onorevole che possa esserci. Sono fuori dal tempo, indifferenti dinanzi al suo scorrere e fieri di abbracciare questa dannata tradizione ibridandola con ciò che più gli piace, facendoci un po’ quello che gli pare, ma senza mai cambiare troppo la formula. Magari le alternative sono davvero solo queste, fuggire dalla provincia o abbracciarla per ciò che è; sta di fatto che quelle volte che ci siamo tornati per un saluto o anche solo per guardare Palmese - Vigor Lamezia, pur riconoscendo tutti i limiti del caso, siamo stati bene.