La retrospettiva del Cinema Ritrovato sul parallel cinema si conclude con Amma ariyan (Report to mother) e Elippathayam (Rat-trap), due film complementari che interrogano i temi della volontà umana e della partecipazione. Il primo, diretto dal prematuramente scomparso John Abraham, racconta di un giovane naxalita – i ribelli maoisti indiani – che dopo aver trovato il cadavere di un suo conoscente intraprende un viaggio attraverso il Kerala per informare la madre del defunto. Lungo il percorso ritrova vari altri naxaliti che si uniscono al pellegrinaggio verso sud, e le loro memorie della stagione politica degli anni ’70 si intersecano con i ricordi del giovane compagno morto. La linearità narrativa è sacrificata a favore di una frammentarietà di situazioni, dalle proteste operaie agli scioperi studenteschi, che restituiscono una testimonianza emotiva prima ancora che storica, un percorso mosaicato fra i sogni in parte disillusi di una generazione ribelle.

Quando Abraham fonda il collettivo Odessa, nome forse ricollegabile all’omonima città Ucraina, insieme al regista Odessa Sathyan (nome d’arte di Cheeram Veeti Sathyan) e attraverso di esso finanzia questo film, aveva ben chiara un’idea di cinema funzionale alla formazione di una coscienza popolare, uno strumento di mobilitazione e riflessione rivoluzionaria. Il substrato emotivo che conferisce vigore all’ideologia del gruppo è invece affidato alle due madri: quella del protagonista, a cui scrive costantemente durante il pellegrinaggio, e quella del defunto. Il messaggio recapitato a quest’ultima (e soprattutto al pubblico) è anche un messaggio di speranza, poiché le funebri circostanze hanno fatto sì che si venisse a riformare una piccola comunità decisa ad attivarsi per migliorare la situazione sociale del paese.

Amma ariyan è soprattutto un film di mobilitazione, in cui spicca peraltro un brillantissimo monologo sulle responsabilità degli intellettuali apolitici, a cui fa da contraltare Elippathayam, un’opera sui rischi connessi al disimpegno. Raramente si è visto un personaggio inetto e ozioso quanto Unni, proprietario terriero di mezz’età, che vive insieme a due delle sue tre sorelle e senza le quali apparentemente non sarebbe in gradi di allacciarsi i sandali. Unni vive con rigetto e ignavia i cambiamenti sociali che lo circondano e che porteranno al collasso del sistema feudale, eventi che finiranno comunque col travolgerlo e fargli fare letteralmente la fine del topo. Ancora più snervante della sua pigrizia è l’accondiscendenza di Rajamma, la sorella di mezzo, che asseconda qualsiasi suo capriccio pur con visibile sofferenza, perché incapace di immaginare un sistema di valori diverso da quello feudale-patriarcale. La psicologia dei personaggi è davvero ben costruita, anche se la sorella minore ha poco spazio all’interno della narrazione. Lei è la meno assoggettata all’influenza del fratello, e se questo personaggio fosse stato il focus del film probabilmente l’avrebbe trasformato in un racconto sull’emancipazione e i tempi che cambiano. Così non è però, e infatti Elippathayam rimane una lucida e caustica riflessione sul passatismo e l’arrendevolezza.