Siamo negli anni Venti. Aldo Piscitello (Umberto Spadaro) è un travet siciliano, modesto impiegato comunale, antifascista in cuor suo. Ma quando il podestà locale lo esorta a prendere la tessera del Fascio, pena perdita del posto di lavoro, Piscitello non può che cedere al ricatto. Gli altri componenti della sua famiglia sono la moglie (Ave Ninchi) e la figlia Elena (Delia Scala) che venerano il Duce, e il primogenito Giovanni (Massimo Girotti), che vede la sua vita consumarsi tra i conflitti, seguendo le vicende dell’Italia fascista, e parte prima per la Campagna d’Etiopia, poi in Spagna e quindi per la seconda Grande guerra. Intanto, Aldo e i suoi cari affrontano i bombardamenti, lo sfollamento, l'occupazione nazista. Arriva l'8 settembre e, con l'armistizio, Giovanni è sulla via del ritorno a casa, quando gli eventi precipitano. Dopo la Liberazione, sarà lo stesso podestà a compiere un imprevedibile voltafaccia, di cui vittima sarà anche il povero Piscitello.
"Gli sceneggiatori [...] hanno voluto farci ridere del fascismo". Con queste parole Fernaldo Di Giammatteo fotografava nel 1949 l’effetto di Anni difficili di Luigi Zampa sul pubblico italico dell’immediato dopoguerra, ancora marcatamente segnato dalle conseguenze psicologiche e sociali della profonda spaccatura portata dalla guerra tra fascisti e antifascisti (e collaborazionisti). Successivamente la pellicola sarebbe stata letta “come il primo tentativo di risolvere il camaleontismo politico nazionale” (Mereghetti), o “efficace mistura tra satira e pathos” (Morandini), ad ogni modo sempre come opera dagli accenti anche comici, ma capaci di suscitare vivaci polemiche.
Come ricordava Goffredo Fofi in un pezzo apparso su Internazionale nel 2015 “quella di Anni difficili è una storia esemplare e molto comune, però contro il film si sollevarono non solo i nostalgici, ma anche molti dirigenti del Partito comunista – alcuni dei quali erano ex membri dei Gruppi universitari fascisti – che accusarono Zampa e Brancati di denigrare il popolo italiano che, sostenevano, era sempre stato di sentimenti antifascisti. Se la presero anche col giovane Italo Calvino, grande estimatore del film, quando espresse il suo parere nell’edizione torinese dell’Unità”.
Cosa aveva scritto Calvino sul film? Calvino aveva evidenziato l'importanza di Anni difficili come “lodevole esempio di «cinema giornalismo», un saggio di costume pieno di notazioni acutissime sulla vita e la cultura di diverse classi e di diverse generazioni in un particolare periodo della nostra storia nazionale”. Calvino aveva letto nel film un forte valore antifascista e positivo, uno degli aspetti più interessanti che ci aveva ravvisato era “lo studio dei giovani cresciuti sotto il fascismo”: il figlio sempre in guerra che non è fascista, ma guarda al fascismo con “pensosa moderazione”, i piccoli gemelli allevati lontano dalla famiglia alla Farnesina, in seno all’Opera Nazionale Balilla, “la figlia lettrice di romanzi dannunziani, portata al fascismo da attrazioni di «cultura», o meglio di «gusto»”.
Lo scrittore esortava “lo spettatore di coscienza” a porsi una domanda dopo aver visto il film, domanda valida tutt’oggi: “Cosa avrebbe dovuto fare Piscitello, cosa avrebbe fatto oggi?". Questo interrogativo d’obbligo salvava agli occhi di Calvino Anni difficili dall’accusa dilagante di essere un film qualunquista, un film che gettava l’onta di antinazionalismo sul suo popolo. Quando invece, a ragion veduta, Calvino lo definiva come film anti-qualunquista per antonomasia, perchè urlava «Se non vogliamo uccidere i nostri figli non bisogna dire “Non m’impiccio di politica”, per poi subire la politica degli altri, ma bisogna essere tutti d’un pezzo, e lottare, e organizzarsi!». Se guardiamo Anni difficili sotto la lente d’ingrandimento calviniana sarà dunque facile restituirgli il valore di parabola morale e politica, primo atto di quella che sarà una trilogia scritta da Brancati per il regista Zampa, che qui porta al cinema il romanzo "Il vecchio con gli stivali”, e in seguito con Anni facili (1953) e L'arte di arrangiarsi (1955), ne osserverà la dolorosa continuità negli intrallazzi del dopoguerra.
Il fulcro dell’opera sembra essere dunque l'impotenza della gente comune di fronte agli oscuri ribaltoni del potere; quella delle persone semplici è presentata come una massa informe incapace di ribellarsi al proprio destino (il tesseramento al partito malvolentieri, la partenza per la guerra) se non quando ormai è troppo tardi. Impossibile, lo pensiamo con Calvino, non interpretare questo messaggio come una forte critica al qualunquismo, al trasformismo ed anche al “pecoronismo” tutto nostrano, quel senso di movimento del “gregge”, a cervelli spenti, che tanto sarà sbeffeggiato nella successiva commedia all’italiana. "Non mi riesce di trovare uno che abbia il coraggio di dire 'Io sono stato fascista': ma da chi era fatto questo fascismo?", domanda al podestà il sarcastico ufficiale inglese in una scena del finale, incredulo davanti alla meschinità degli sconfitti.
Siamo nel 1948 sono passati solo 3 anni dalla fine della guerra e, come sottolineava ancora Di Giammatteo, Anni difficili “è una satira estesa nel tempo, complessa e irta di contrasti, che affronta con indubbio coraggio i fatti e le reazioni più disparate, che entra nel vivo di tre guerre [...] è la prima volta che il cinema si arrischia in un'impresa simile".
Il fatto che a farlo sia stato Luigi Zampa dimostra quanto nel cinema immediatamente post bellico egli avesse avuto un ruolo autonomo e non marginale (come per molto tempo si è voluto credere). Del resto non dimentichiamo che Zampa (dal 1934 al 1937) fu allievo del neonato CSC, il luogo che più di tutti, come ricorda Brunetta in Cent’anni di cinema italiano, fu capace di “immaginare mondi, stili e poetiche del tutto opposte e alternative rispetto a quelle desiderate e programmate dal regime… il luogo con il merito di aver pensato e progettato nuovi mondi possibili per il cinema italiano...un luogo di libera circolazione di idee: poco importa che queste idee potessero essere centrifughe rispetto alle aspettative dei vertici fascisti". Il CSC formò la leva dei registi del futuro neorealismo, Pietro Germi e Antonio Pietrangeli furono i compagni di corso di Luigi Zampa. Non uno dei diplomati CSC di quegli anni si integrò nel processo di fascistizzazione della cultura cinematografica dell’epoca e il CSC “anziché essere il centro di formazione di intellettuali fascisti diventò scuola di antifascismo oltreché di autentica formazione professionale”.
Così seppure si volesse vedere gli Anni difficili come film dalle pur modeste pretese artistiche, almeno non bisognerebbe più negargli non solo l’ispirazione antifascista ma anche il valore documentale di una istantanea scattata alla condizione spinosa in cui si trovarono moltitudini di italiani nei giorni in cui non seppero dichiarare, per ignoranza, vigliaccheria, opportunismo o necessità, la loro effettiva presa di posizione, davanti alla Storia. Una Storia che ancora oggi presenta il conto salato di tale smarrimento.