Nei secoli, la figura di Antigone ha continuato ad affascinare drammaturghi, intellettuali, registi e interpreti. Da Alfieri a Anouilh, da Brecht a Seamus Heaney fino a I Cannibali (1970) di Liliana Cavani, il testo di Sofocle riverbera il suo potere di metafora sulla Resistenza a tutti i totalitarismi, tanto da venire definito nel titolo di un controverso saggio di Rossana Rossanda come “Antigone Ricorrente” (1987). Resistenza che implica, sempre, rivolta contro lo Stato.

Un passaggio concettuale, questo, pieno di insidie che Rossanda, pensando anche agli anni di piombo italiani e tedeschi, riassume con un paradosso: “il discorso sulla rottura delle regole ripreso e rinnovato all'inizio degli anni '70, e su scala mondiale, è stato ricco di figure nate per 'condividere amore' e perciò, paradossalmente, determinate a uccidere chi 'condivideva odio'".

Questo paradosso è poco esplorato dalla versione di Antigone (2019) della regista québécoise Sophie Deraspe, la cui riuscita è dovuta, in gran parte, all’iconica interpretazione dell’esordiente Nahéma Ricci, per espressività paragonata a Maria Falconetti in Giovanna d’Arco (1928). La ribellione di Antigone, immigrata dall’Algeria con la nonna, due fratelli e la sorella Ismène, contro le autorità canadesi che prima le ammazzano senza ragione il fratello Étéocle e, in seguito, vogliono rimpatriare l’altro fratello Polynice, non sfocia nella nascita di un movimento violento.

Anche se ci sono immagini di scontri tra polizia e dimostranti, la decisione di Antigone di sostituirsi al fratello Polynice consegnandosi alle autorità canadesi provoca un movimento soprattutto mediatico che porterà l’attenzione sul caso e sulle ingiustizie a cui sono sottoposti i migranti. Questo movimento è rappresentato, con un’intuizione di regia, attraverso le “storie” social che commentano la vicenda con immagini e scritte che si sovrappongono alla narrazione convenzionale, assolvendo la funzione di commento del coro tragico nella nostra contemporaneità.

Il vero paradosso del film sta proprio nell’affermare una visione radicale rinunciando, al tempo stesso, ad una chiamata alle armi, mostrando non una situazione di estremo scontro tra Bene e Male ma puntando su una rappresentazione del sociale in cui il razzismo è diventato endemico e istituzionale. Non siamo di fronte alla lotta al collaborazionismo di Anouilh o all’insurrezione contro il fascismo distopico della Cavani.

Deraspe mostra il personaggio di Antigone in lotta contro una democrazia occidentale, che premia i suoi risultati scolastici con una borsa di studio, e la sceneggiatura taglia completamente la parte del tiranno Creonte, sostituendolo con il politico Christian, un po’ opportunista, certo, ma in fondo pronto a sostenere la storia d’amore tra suo figlio Hémon e Antigone. In tutto questo liberalismo, tuttavia, i migranti rimangono persone senza diritto di cittadinanza, sempre in pericolo di essere inghiottiti da sfondi o bare bianche e riaccompagnati all’aeroporto dove incontrano identiche famiglie che stanno arrivando e il cui percorso potrebbe essere già segnato.

Premiato con sei Canadian Screen Awards, tra cui miglior film, sceneggiatura, attrice, e un successo di critica internazionale, questa nuova versione di Antigone parte da una vicenda della nostra contemporaneità che non ha tanto a che fare con conflitti di classe o di ideologia, come nei precedenti adattamenti della tragedia, quanto con conflitti etnici che stanno lentamente ma con decisione prendendone il posto nella società contemporanea.

In quella commistione tra impulso documentaristico e rielaborazione narrativa che caratterizza altre sue opere come Missing Victor Pellerin (2006) e The Amina Profile (2015), Deraspe muove infatti da un dato di realtà: l’omicidio di Fredy Villanueva, giovane immigrato onduregno disarmato, da parte della polizia del Québec nel 2008. Esteticamente, il film è una riflessione su come adattare le tragedie della classicità alla nostra postmodernità, logica culturale del tardo capitalismo, fatta di una moltitudine di narrazioni e di significati, dove la suoneria di un cellulare può riaprire un finale già scritto.