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Il suono di “La jetée”

In principio fu il suono: quello forte e sibilante degli aerei sulla piattaforma di osservazione all’aereoporto di Orly. L’inizio sonoro ne La jetée è per lo spettatore-ascoltatore il primo segno acustico di un film in cui non ci sono voci. Si tratta di un photo-roman, ovvero una sequenza di fotografie che raccontano la storia di un uomo e di una donna – avanti e indietro nel tempo – che si svolge durante una fantascientifica era postatomica. Un cortometraggio raccontato attraverso una serie di immagini fisse durante il quale il raccordo di una voce narrante fuori campo evita la deriva ermeneutica: un bambino che osserva una donna durante un incidente all’aereoporto in cui misteriosamente muore un uomo; scienziati che sperimentano il viaggio nel tempo su quel bambino ormai adulto nelle gallerie del Palais de Chaillot.

Movimenti acustici: “La Jetée”

Analizzare un film come La Jetée dal punto di vista del sonoro significa capirne la struttura del suo meccanismo di fruizione spettatoriale: l’alternanza di voce off, musica, silenzi ed effetti sonori segna un tipo di raccordo tra le immagini che è allo stesso tempo di tipo emotivo (le musiche di Duncan sottolineano allo spettatore il carattere passionale della scena) e cognitivo (la voce fuori campo funziona come le didascalie all’epoca del muto). Non solo. La dimensione sonora genera movimento nel tempo; in definitiva, ciò di cui ha strutturalmente bisogno un foto-montaggio per essere raccontato al cinema.