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“La fiamma del peccato” e il profumo dell’omicidio

Il film, ancor prima di essere film, è un incontro tra sguardi narrativi diversi: qui si ritrovano la curiosità di Wilder per l’ambiguità della natura umana, l’amore malinconico di Chandler per il rigore morale e il disincantato cinismo di Cain nel raccontare gli arrivisti. Il risultato di questo strano mix di ingredienti è uno dei noir più riusciti del cinema americano, dove una goccia di paura basta “per cagliare l’amore in odio”. Non è ancora un morto quello che racconta la sua storia in flashback – come sarà ne Il viale del tramonto – ma è l’ombra di un uomo che sta per morire. Già dai titoli di testa Wilder apre il film con l’ombra di un uomo con le stampelle che si avvina alla macchina da presa diventando via via sempre più grande, fino a fagocitare l’intero schermo e a sfumare in una Los Angeles notturna e febbricitante, fotografata da John F. Seitz in un bianco e nero che in alcuni momenti risente ancora degli echi impressionisti.