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“È simpatico, ma gli romperei il muso” e la casualità dell’amore

Il ritmo di César et Rosalie è caratterizzato da un continuo avvicendarsi di colpi e contraccolpi; non si è mai a un epilogo – la struggente inquadratura finale nient’altro è che il prodromo di un qualcosa destinato a durare e a ripetersi eternamente – né a una fine che si adatti ai bisogni dei singoli personaggi o alla tensione drammaturgica. Tensione che non finisce mai perché nel momento in cui ci sembra che Sautet definisca lo spazio per una breve armonia è proprio in quel momento che le scelte dei suoi personaggi la vanno a distruggere. E si ricomincia da capo. 

Tutto su mio figlio. “La Voleuse” e il teatro di Romy

Complici i dialoghi letterari di Marguerite Duras, la crisi di coppia di Julia e Werner al centro de La Voleuse viene osservata dalla macchina da presa di Chapot quasi come davanti ad un teatro filmato, il loro appartamento di Berlino, dove si svolge la maggior parte dei loro confronti, viene assimilato ad un palcoscenico. Talvolta i due sono inquadrati insieme, in posizioni statiche ai limiti dell’inquadratura, l’uno di fronte all’altra o di spalle ad eludere lo sguardo del partner. Altre volte, la macchina da presa si focalizza solo sulla Schneider. 

“Il processo” alla finzione cinematografica di Orson Welles

La società de Le Procès è una distopia che ricorda la metafora weberiana della “gabbia d’acciaio” in cui la razionalizzazione ha messo sotto scacco le differenze e le individualità. Significative a questo proposito sono le sequenze girate sul posto di lavoro di K, con tutte le postazioni di lavoro disposte in infinite file sempre uguali, e la sensazione che la macchina da presa sia un panopticon che segue le vite degli altri. Non c’è nulla di rassicurante in uno stato che spia i propri cittadini e formula accuse senza specificarne il contenuto: questa idea di stato si contrappone all’evocazione, quasi nostalgica, nei primi film che fecero di Schneider la star di un impero paternalista e benevolo nei confronti dei cittadini che sanno stare al proprio posto.

Otto Preminger e la messa in scena di Romy. “Il cardinale” al Cinema Ritrovato 2021

Il Cardinale (1963) appartiene alla seconda fase della carriera hollywoodiana di Otto Preminger, in cui il regista coltiva la sua reputazione di auteur grazie commenti dei critici dei Cahiers. Per Jacques Rivette, il cinema di Preminger è l’esemplificazione stessa della mise-en-scène: “la creazione di un complesso preciso di personaggi e di ambienti, di un fascio di rapporti, di un’architettura di relazioni, mobile e come sospesa nello spazio”.  Il saggio di Rivette, “L’essentiel”, viene pubblicato dieci anni prima de Il Cardinale, ma quella “architettura di relazioni” rimane un elemento distintivo del cinema di Preminger. Nel caso de Il Cardinale, questa architettura si spinge oltre la narrazione sullo schermo.

“La piscina” di Romy e il fascino divistico

Fin dalla prima scena, con il lento indugiare della macchina da presa sul corpo disteso a prendere il sole a bordo piscina di Alain Delon, il tuffo di Romy Schneider e il successivo amoreggiare della coppia, siamo invitati a spiare la fisicità dei due divi e la loro iconicità come coppia. Significativamente, la scena, fino al momento prima dell’entrata di Romy Schneider, sarà ripresa integralmente in uno spot del 2010, a testimonianza della consacrazione divistica raggiunta dalla coppia Delon-Schneider grazie a La piscina: bellissimo lo spruzzo finale e lo sguardo sorpreso di Delon a cercarla, con la nostalgica consapevolezza della sua definitiva assenza.

“Conversation avec Romy Schneider” e i segreti della principessa

Da Sissi a Pupe dell’episodio Il lavoro di Luchino Visconti in Boccaccio ’70, da Leni in Il processo di Orson Welles a Marianne in La piscina di Jacques Deray, fino a indossare nuovamente i panni dell’Imperatrice Elisabetta d’Austria in Ludwig di Visconti, Romy Schneider è rimasto un volto indimenticabile per tutti gli appassionati di storia del cinema. È impossibile non conoscere almeno una delle sue molte facce, ma quello che il documentario di Patrick Jeudy vuole mostrare è la Romy che nessuno ha mai pensato. Una donna, una magnifica attrice, che una sera decide di raccontare la verità su se stessa alla giornalista femminista, tedesca come lei, Alice Schwarzer: fondatrice della rivista “Emma”.