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“Il mio profilo migliore” e i fantasmi della modernità
Il regista scomoda altissime vette del cinema – Rashomon e La donna che visse due volte – e sfuma la parola scritta di Camille Laurens, autrice del romanzo omonimo dal quale è tratto il film, nelle atmosfere evanescenti che ruotano attorno all’immagine prismatica di Juliette Binoche, ipnotica per lo spettatore e ipnotizzata ella stessa dalla liquidità di una storia sempre in bilico tra realtà e immaginazione. Se l’opera di Nebbou fosse una poesia – e tale potrebbe essere in quanto a concettualismo strutturato e sequenze sfumate – sarebbe un componimento senza “stanze” in cui ad agitarsi senza tregua, anziché la joi d’amor, è il fantasma della parola occidentale, che confonde irrimediabilmente la percezione che si ha dell’altro da sè, con l’immagine ingannevole che la donna si costruisce a tavolino, sfruttando il più banale dei desideri erotici: un corpo sinuoso e giovane, biondo e ammaliante.