Vincenzo Palermo
“Lamb” e il bestiario dell’orrore
Lamb è il frutto di una mescolanza di visioni e svolte narrative che lo rendono un film ipnotico, in perfetto equilibrio tra l’elemento mitologico – troll e creature demoniche sembrano sempre sul punto di sgusciar fuori per infrangere le regole del reale – e il fantastico psicanalitico, sentiero perturbante battuto dalle lacerazioni dell’anima e dai rovesciamenti prodotti dall’inconscio. Non è un caso che il “mondo altro” sia annunciato attraverso una serie di simboli e presagi e una lenta penetrazione della macchina da presa nella quotidianità di una coppia stretta in un disagio sentimentale quasi afasico.
“Spencer” come fantasmagoria di palazzo
Pablo Larraín racconta le fughe e i ricongiungimenti di un personaggio tormentato attraverso cui emerge il portato socio-culturale di un intero paese, costruisce un’identità schizofrenica, ingabbiata da una ripresa che alterna movimenti spasmodici, carrellate e una sovrabbondanza di piani autoriferiti ed “egotisti”; tutto intorno sfilano corridoi, spazi aperti, interni claustrali, stanze e simulacri del potere, alberi e prati, il tumulto interiore di una vita sbilenca e di una storia privata che trascolora nella mitologia pubblica.