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Vite ai margini e storie senza tempo nel cinema di Pietro Marcello
Il cinema “documentario” di Pietro Marcello assomiglia a una devota manipolazione del reale: non una registrazione nuda del racconto, ma una sfida allo sguardo e alle percezioni, mai “tracotante” e carica di una cura estrema nei confronti dei soggetti prescelti. È il caso de La bocca del lupo, che giunge con soluzioni imprevedibili a illuminare i carrugi di Genova per raccontare la storia d’amore tra l’ex detenuto Vincenzo Motta e la transessuale Mary Monaco. Il film alterna con naturalezza disarmante scampoli di vita e materiale d’archivio – sapientemente ricercato e montato da Sara Fgaier – dispiegando un racconto che resta tenacemente al servizio delle immagini. In Marcello, del resto, persiste un’autentica venerazione per le molteplici possibilità dello spazio filmico, come ne Il silenzio di Pelešjan, che compone un ritratto attraverso quel “montaggio a distanza” tanto caro al cineasta armeno che sceglie di omaggiare.