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“Mezzogiorno di fuoco” e l’impasse morale dell’antitesi eroica
Kane è il perfetto figlio di un’epoca di revisione già incipiente, gli anni Cinquanta in cui le fondamenta ideologiche del genere scricchiolano sempre più pericolosamente, gli uomini tutti d’un pezzo sono un ricordo e quelli che rimangono fanno spesso più paura dei cattivi. Non bestiale come i personaggi di Mann né antieroico come quelli di Boetticher, il miglior termine di paragone per lui è forse il pavido Dan Evans di Quel treno per Yuma (1957, di Delmer Daves). Se dovessimo scommettere su cosa di Mezzogiorno di fuoco fece uscire più dai gangheri Howard Hawks e John Wayne, peggio ancora dell’indifferenza della comunità o dello sceriffo salvato da una donna, punteremmo su questa atmosfera insopportabilmente smorta e monotona che è l’antitesi esatta dell’ariosità dell’avventura western, l’eroe dagli occhi azzurri ridotto a mendicante da parabola biblica che passa metà film andando di porta in porta a supplicare aiuto.