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Wilder e Freud tra commedia e psicanalisi
Billy Wilder è uno dei tanti registi che, pur non essendo mai andato in analisi, ha sintetizzato in pochi e significativi tratti caricaturali l’altera figura dello psicoanalista, una trasposizione cinematografica macchiettistica che risente certamente delle proprie origini austriache, alle quali si aggiunge forse un antico risentimento mai del tutto sopito. Wilder nel 1925, è un giovane giornalista che scrive per “Die Stunde”, in occasione dell’edizione natalizia realizza un’inchiesta su Mussolini e il fascismo, intervistando diverse personalità di Vienna (Alfred Adler, Arthur Schnitzler e Richard Strauss) non restie a concedergli un incontro, mentre Sigmund Freud, che non ama i giornalisti, lo mette alla porta. Più volte gli è stato chiesto di rammentare nei minimi dettagli questa esperienza poco fruttuosa e lui, senza infarcire un racconto di per sé piuttosto scarno, ha sintetizzato quell’evento riportando la frase con cui lo psicoanalista lo ha freddamente congedato: “Quella è la porta!”.
Il perturbante, Freud e Kubrick. Ripensando “Shining”
Shining è un film che rientra nei canoni del genere horror affrontati in un’ottica freudiana: “Freud affermò che il perturbante costituisce l’unica sensazione che si provi con maggiore forza sia nell’arte sia nella vita. Se questo genere avesse bisogno di qualche giustificazione, credo proprio che questa basterebbe come credenziale”. (intervista rivista e approvata dal regista nel 1981 pubblicata in Kubrick, Michel Ciment, 1999) Per perturbante si intende, citando Freud, “quando appare realmente ai nostri occhi qualcosa che fino a quel momento avevamo considerato fantastico, quando il simbolo assume pienamente la funzione e il significato di ciò che è simboleggiato”.