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“Doppio amore” e l’incarnazione del desiderio

Marine Vacth è l’incarnazione del desiderio. Lo è da sempre, per François Ozon; per cui tutto ruota intorno al corpo e alla corporeità, fin dalla timida e inquieta ripresa iniziale di Giovane e bella, seguendola su una spiaggia in riva al mare come Rohmer in La collezionista e in cui è il fratellino a osservarla da lontano, per poi spostarsi e affacciarsi guardingo sulla soglia della sua camera da letto. Un ruolo, quello di Isabelle, che sembra appositamente costruito sulla sinuosità delle forme della Vacth, sul taglio spigoloso del suo volto e uno sguardo carico di delicata lascivia, quasi angelica, divina. Frigida e sensuale come la Deneuve tra Repulsion e Buñuel, è come se Isabelle interpretasse la parabola di una meno nota “eroina” moraviana, la Desideria – non a caso – di La vita interiore, uno dei romanzi più sovversivi dello scrittore romano, inusuale ed estrema, per il periodo storico-culturale, gli anni ’70, ma sottilissima analisi dell’erotismo femminile.

Il corpo della donna in “Doppio amore”

Il corpo di donna, vero fulcro organico attorno al quale si snoda l’intera narrazione, viene sondato, violato, esibito, invaso, deformato e venerato. Il film apre mostrando Chloé in un salone di bellezza alle prese con un drastico cambio di look che le modificherà la fisionomia – dai lunghi capelli castani passa ad un taglio netto alla garçonne che rende difficile non farci pensare alla Signora Woodhouse di Rosemary’s Baby – per poi catapultarci, nella sequenza successiva, nel bel mezzo di una visita ginecologica. La mente come parte integrante del corpo, la contiguità fra quest’ultimo e l’inconscio, la sessualità, gli istinti primari. Un perfetto body horror cinematografico – David Cronenberg docet – atto a innescare nello spettatore un senso si repulsione, una sensazione di violenza subita per il dover assistere inerme alle visioni recondite dei suoi luoghi fisici e alle mutazioni, autoindotte o inflitte, alle materie organiche che lo costituiscono.